Gli editori, le rassegne e i rassegnati del web

Dal 1° gennaio del 2013 verranno definitivamente oscurate le rassegne stampa on-line messe finora a disposizione gratuitamente dai siti web di Camera e Senato.  

Quella che la Fieg saluta come una grande vittoria in difesa del diritto d’autore, però, rischia di rivelarsi il De Profundis di una stampa nazionale che trova il peggior nemico in se stessa e nelle istituzioni che dovrebbero tutelarla, e che nel periodo di più grave crisi mai attraversato non sa fare altro che annodarsi da sola il più stretto tra i bavagli.

Senza più rassegne resta solo più la rassegnazione. Quella di chi aveva creduto nell’importanza di difendere prima di tutto la pluralità e la libertà dell’informazione sull’unico canale ancora in grado di rappresentarle entrambe per davvero: il web.

In prima linea contro la crociata miope e anacronistica bandita dalla Federazione Italiana degli Editori di Giornali si era schierato sin da subito il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, annunciando che finché fosse stato in carica non avrebbe mai messo a tacere la rassegna sul sito di Montecitorio. E sono ancora in molti a nutrire la segreta speranza che voglia tener fede fino all’ultimo alla parola data, nonostante i diktat di chiudere baracca e burattini.

Ma a salire sulle barricate a fianco del presidente Fini c’è stata anche la rete. Dal blog insider parlamentare Il Cicalino, autore di una martellante campagna di sensibilizzazione sul tema, al profilo Twitter del giornalista Gianni Riotta, la cui rassegna stampa mattutina mutuata proprio dai .pdf della camera è diventata col tempo un appuntamento imperdibile per i twitteri italiani. E c’è stata anche l’Opinione, che dal suo piccolo pulpito non ha mai mancato di difendere le rassegne libere come unico canale per far sentire anche la voce dei più piccoli, di coloro che non possono vantare alle proprie spalle grandi gruppi editoriali né grandi gruppi di interesse, e conseguentemente lottano giorno dopo giorno per fare informazione con i pochi, pochissimi mezzi a disposizione.

Perché è proprio su questo punto, dove la Fieg si illude di aver conseguito la vittoria più significativa, che la stampa italiana ha rimediato la più cocente delle sconfitte. L’ottusa avidità degli editori che credono di aver posto un freno all’emorragia nelle vendite di quotidiani e spazi pubblicitari con il bavaglio alle rassegne libere on-line dovrà molto presto scontrarsi con la tragica realtà di un sempre minor numero di copie vendute e un sempre maggiorn numero di voci destinate al fallimento, alla chiusura, all’estinzione e all’oblio.

La vera forza delle rassegne on-line, infatti, non era affatto quella di sottrarre lettori alle edicole dirottandole verso una più semplice (e soprattutto gratuita) consultazione in rete, ma piuttosto quella di dare la possibilità alle piccole testate di farsi leggere e conoscere dalla più ampia platea possibile. E conquistarsi così i quegli spazi altrimenti negati dalla logica secondo la quale solo chi riesce a fare la voce grossa riesce anche a farsi ascoltare.  

Invece di riformare una legge sul diritto d’autore ferma al 1941, riadattandola alle esigenze di un mondo che da allora è radicalmente cambiato, si è preferito sventolare la tutela del diritto d’autore come specchietto per le allodole per preservare in realtà il proprio status quo e le proprie rendite di posizione. Invece di interrogarsi seriamente sui motivi profondi che negli ultimi anni hanno determinato la crisi dell’editoria, si è scelto di attribuire semplicisticamente le colpe alla rete, la più facile da additare e censurare. Invece di studiare forme di evoluzione possibile sul nuovo mercato di Internet, magari contemplando la possibilità di inserire nelle rassegne stampa anche le pubblicità degli inserzionisti che pagano per comparire sulla carta stampata, si è preferito mettere a tacere per sempre un pericoloso concorrente. Se questa non è subdola malafede, è comunque una grave forma di ottusità. 

In ogni caso, è la strada sbagliata. E scegliendo di percorrerla toccherà prima o poi accollarsi anche le spiacevoli conseguenze che inevitabilmente resteranno in attesa al traguardo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37