Sfitto involontario, una tassa barbara

Il disegno di legge di stabilità prevede che “il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all’imposta muni-cipale propria, concorre alla formazione della base imponibile dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura del cinquanta per cento”. Si tratta del ripristino di un’imposta che era stata abolita nel 2011 (Gover-no Berlusconi), con lo stesso provvedimento col quale si istituì la cedolare secca. Il ripristino avviene comunque alle condizioni specificate nella norma che esclude con chiarezza queste ultime dall’imposizione ripristina-ta.

Un tentativo di ripristino dell’imposta era del resto stato fatto anche ad agosto ma con una dizione che includeva anche le case di villeggiatura, ed allora il tentativo era stato respinto. La reintroduzione dell’imposizione sulle case non locate nasce anzitutto – com’è facile capire – dall’esigenza di “fare cassa” in tutti i modi, e comunque (frutterà infatti allo Stato, nel 2014, più di 500 milioni di euro), con la consueta, spiccata preferenza del-la nostra burocrazia e di certa classe politica a gravare sempre sugli immo-bili, nella noncuranza più assoluta dei gravi effetti già procurati ad un set-tore di primaria importanza come è quello dell’edilizia e nell’intendimento di colpire (con facilità, perché sempre visibile) una ricchezza che peraltro non è più tale sia per l’abbattimento dei valori che si è avuto sia, soprattut-to, perché si ha ricchezza solo quando una proprietà può essere realizzata sul mercato, cosa che proprio non si verifica oggigiorno in Italia.

La reintroduzione dell’imposta di cui s’è detto è poi difesa con l’asimmetria esistente nel trattamento fiscale degli immobili non locati e degli immobili locati essendo stato escluso dall’Irpef il reddito derivante dagli immobili non locati, mentre il reddito degli immobili locati è stato assoggettato alla stessa imposta. Un’asimmetria comoda per le consuete questioni di cassa, come dimostra il fatto che l’asimmetria non è stata su-perata eliminando il carico fiscale Irpef degli immobili locati ma – al solito – ripristinando invece un’imposta per chi prima non l’aveva.

Da ultimo la reintroduzione è spiegata con la necessità della lotta all’evasione, presu-mendosi che gli immobili non locati siano in realtà locati irregolarmente. E anche qui, e ancora una volta, si preferisce – ovviamente – incassare di più, piuttosto che disporre facili ispezioni per controllare se gli immobili che risultano non locati non siano davvero da alcuno occupati. Per queste “ragioni”, si sceglie dunque di reintrodurre un’imposta di parti-colare iniquità. Gli immobili in questione sono infatti generalmente quelli che i locatori (per la stragrande maggioranza piccoli proprietari, come no-to) intendono concedere in locazione, senza peraltro trovare – soprattutto in questo periodo di crisi – inquilini disponibili.

In molti casi gli immobili non vengono poi locati perché bisognosi di ristrutturazioni, per effettuare le quali i proprietari non dispongono dei mezzi necessari, data la mancanza totale, o quasi, di redditività della locazione nei tempi attuali. Su tali im-mobili improduttivi di reddito – giova ricordarlo – i locatori sono comun-que costretti, oltre che a pagare l’Imu (solitamente con aliquota massima), a sostenere tutti gli oneri propri di un bene come questo: contributi con-dominiali, spese di manutenzione, ecc. Insomma, alla mancanza di reddito (e alla presenza solo di spese) si ag-giunge un’imposta non si sa su che cosa se non sulla sfortuna di non riusci-re – molte volte per colpa della mano pubblica – a trovare un inquilino.

Una barbarie senza confronti soprattutto se si considera che i locatori non possono neanche pattuire un canone inferiore al 10% del valore catastale (per ipotesi, pur di trovare un inquilino) per effetto di una norma che lo stesso Stato che li perseguita ha posto (art. 41-ter, dpr n. 600/’73) se non esponendosi alle ispezioni dell’Amministrazione finanziaria. Dulcis in fundo, poiché al peggio non c’è mai fine. L’imposta sarebbe (se approvata dal Parlamento) retroattiva, dall’1 gennaio scorso. Lo Statuto del contri-buente sarebbe meglio abrogarlo…

(*) Presidente di Confedilizia

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50