La chiamata alle armi   di Barack Obama

Barack Obama ha parlato agli americani e al mondo di ciò che intende fare per contrastare l’avanzata del terrorismo islamico dell’Is. Era ora! Dopo mesi di silenzi e di errori il capo della Casa Bianca ha compreso che la situazione in Iraq non sarebbe stata più sostenibile. Oggi, dunque, il suo obiettivo diventa quello di fermare il nemico mediante l’intensificazione dei bombardamenti aerei delle basi operative del nuovo califfato.

Obama intende attaccare dall’alto, sia in Iraq sia in Siria, per non impegnare le sue forze terrestri in una nuova lunga e costosa guerra di teatro. L’opinione pubblica americana non lo vuole e il bilancio federale non lo consente. Inoltre, dispiegare truppe di terra che potrebbero dover operare anche in Siria, senza un preventivo ok del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, significherebbe un’aggressione contro il governo di Damasco. Quindi, una plateale provocazione alla Russia di Putin che, com’è noto, è schierata dalla parte di Bashar Al Assad.

Obama non intende agire da solo. Non desidera fare la parte dello sbirro cattivo, caricando sui soli Stati Uniti il costo di eventuali azioni ritorsive del terrorismo islamico. Come dargli torto. Per questa ragione ha preteso che altri dieci Stati arabi dichiarassero la disponibilità a far parte della costituenda coalizione anti Is. Tra questi compare anche il Qatar, il cui emiro Al Thani deve farsi perdonare non pochi comportamenti ambigui tenuti a beneficio dei movimenti dell’islamismo radicale di matrice sunnita. In particolare, la dinastia qatarina deve allontanare da sé l’atroce sospetto di essere stata la cassa occulta proprio dei tagliagole dell’Is.

Insieme ai paesi del mondo arabo è scontato che anche il blocco occidentale faccia la sua parte. L’Inghilterra e la Francia saranno in prima fila, com’è ovvio che sia per due ex potenze coloniali che in quell’area hanno radicati interessi economici e strategici. Meno scontato, invece, è l’apporto che dovrebbe offrire la Germania. La solidarietà non è mai stata la principale aspirazione dei governanti tedeschi. Lo sappiamo bene noi europei del Sud. Inoltre, la cancelliera Angela Merkel è fin troppo concentrata sulla questione ucraina e sull’allargamento a Est dell’Unione europea a trazione germanica per desiderare di volgere lo sguardo altrove, in particolare a Sud- Est. Nella visione comunitaria di Berlino gli Stati meridionali della Ue sono considerati, anche per il loro naturale ruolo, di “cuscinetto” tra la stabilità dell’area settentrionale del continente e i fattori endemici di conflittualità presenti nella regione mediorientale e nel Nord Africa. Poi c’è l’Italia. Come spesso accade quando c’è da prendere una posizione precisa, la nostra classe politica rievoca la figura di Ponzio Pilato. Ci siamo, ma non ci siamo.

La ministra della Difesa Roberta Pinotti, dopo l’invio del “pacco” di ferraglia spacciato come aiuti militari ai combattenti curdi, ha reso noto che l’Italia farà la sua parte mettendo a disposizione dell’alleanza un’aviocisterna per i rifornimenti di carburante ai bombardieri - degli altri - in volo e un gruppo di esperti per addestrare meglio le truppe curde e dell’esercito iracheno impegnate sul campo. Forse, se proprio gli americani dovessero insistere sarebbero assegnati alle missioni operative alcuni nostri cacciabombardieri AMX, probabilmente gli stessi che erano impiegati sul fronte afghano. Bello sforzo…bellico!

Siamo alle solite. Si pretende di avere insieme botte piena e moglie ubriaca. Vogliamo garantire la nostra popolazione dai rischi di propagazione del terrorismo islamico, ma non vogliamo sentirci chiamare guerrafondai perché andiamo a sganciare anche noi bombe su quei “poveracci” di combattenti islamici. A sentire certa “intellighenzia” nostrana, della solita sinistra ideologica, anche i tagliagole avrebbero buon diritto di essere incavolati con l’Occidente. Sostengono i santoni del pacifismo arcobaleno che se oggi i fondamentalisti sono così indisposti verso l’Occidente, è perché in passato la nostra civiltà è stata molto cattiva con loro. Se queste sono motivazioni? Fate un po’ voi.

La verità è che almeno una volta nella vita dovremmo tutti noi prendere coraggio e dire a chiare lettere che siamo disposti a perdere poco o molto di ciò che ci appartiene e sacrificarlo per una giusta causa. Difendere la nostra civiltà è la giusta causa. Sapevamo che un giorno o l’altro saremmo stati chiamati al fronte. Non pensavamo, però, che la linea del fronte passasse per le nostre città, entrasse nelle nostre case. Fosse così spaventosamente vicina alla nostra routine quotidiana. Ora, che il momento è giunto, ci toccherà gridare un forte e chiaro “Non si passa!”. L’Italia deve fare fino in fondo la sua parte. Hic et nunc. Qui e ora.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21