A che titolo la Merkel “riprende” la Francia?

Finalmente la Francia si è ribellata all’Europa quarto reich e alla Germania di Angela Merkel rifiutando di adottare nuove misure di austerità. La Francia ha previsto infatti, nella legge di bilancio, per il 2015, un deficit che nel 2014 si attesterà al 4,4 per cento del pil, nel 2015 si restringerà al 4,3 per cento, nel 2016 scenderà al 3,8 per cento e solo nel 2017 andrà al 2,8 per cento, cioè al di sotto del tetto del 3 per cento.

In precedenza la Francia si era impegnata a scendere al di sotto del tetto già da quest’anno 2014. I tagli francesi nel 2015 di ventuno miliardi di euro e una parte significativa dei risparmi arriverà dal sistema del welfare (una riduzione della spesa sanitaria di 3,2 miliardi di euro e di settecento milioni di euro relativi ai benifits dati alle famiglie francesi) e dal pubblico impegno (con la progressiva contrazione dipendenti pubblici).

Ma a che titolo la Merkel “riprende” la Francia? A che titolo “bacchetta” e fa da giudice controllore all’Europa di tutti? L’Europa è dei cittadini europei, non della Merkel. Con una nota proveniente da Bruxelles (la Germania ha occupato scientificamente ogni posto di rilievo in Europa, tranne l’inutile Mogherini s’intende, per la quale i beoti hanno gioito qui da noi mettendo invece la firma sulla irrilevanza totale e stolta dell’Italia) è stato ricordato ai francesi che i Paesi membri devono rispettare gli impegni presi. Non lo immaginavano, i francesi, avevano bisogno di sentirselo dire! E il ministro delle finanze francese ha quindi risposto che non sarebbero stati chiesti ulteriori sforzi ai francesi, “perché il governo, che si è assunto la responsabilità di mettere il Paese sulla strada giusta, rifiuta l’austerità”. Finalmente. È tardi, ma, come si dice, meglio tardi che mai.

I francesi hanno cioè preso la decisione di adattare il ritmo della riduzione del deficit alla situazione economica del Paese. Ma forse i francesi e la Francia non sanno, perché nessuno se n’è accorto, che quello che hanno deciso di fare è legittimo, e che solo la Merkel, novello fuhrer d’Europa, ha sempre voluto mal leggere i Trattati europei, per avvantaggiarsene e portare ad incoronare il proprio Paese, la Germania, a capo e “modello” politico ed economico d’Europa. Il “giochino” le si è rotto in mano, lasciando macerie per tutti, anche per i tedeschi.

La Merkel “non capisce l’economia”, come ha ben detto Helmut Schmidt, proprio così, si è espresso così. Schmidt si è chiaramente pronunciato in termini molto critici sulla posizione di dominio che ha voluto occupare la Germania in Europa, mettendo in guardia sulle conseguenze funeste che la leadership tedesca, costruita a spese dei paesi periferici, avrebbe avuto sul progetto europeo. E siamo esattamente dove Schmidt diceva che saremmo arrivati. La Merkel, un politico allevato e cresciuto nella miseria nel senso più vero del termine, cioè nella Germania dell’est, forse proprio perché ha conosciuto solo quella, e rivelando in seguito una dose massiccia di ingratitudine non solo politica ma verso l’Europa tutta (la Comunità europea ha dato i propri soldi per la riunificazione delle due Germanie, e viene adesso “ripagata” con la miseria voluta dalla Germania riunificata), ha imposto a tutti il tracollo e la miseria, a tutti i cittadini europei. Che immane danno, perpetrato con la connivenza, in Italia, di quell’antidemocratico malsano presidente di Giorgio Napolitano, ingiustificatamente premiato dopo una vita di inciuci in danno degli italiani (si cerchi bene sul perché il partito dei giudici non ha indagato, ai tempi di tangentopoli, su Napolitano e su tutto il partito della sinistra, deviando in maniera nefasta l’intera storia politica d’Italia).

Non ultimo, l’“asse” pro miseria Napolitano/Merkel, con lo spodestamento subdolo del governo italiano democraticamente eletto ai tempi di Berlusconi. Povera Europa. Da dove potremo mai ricominciare a ricostruire? Intanto è bene fare chiarezza su alcuni punti fondamentali, perché si avvii presto la ricostruzione dell’Europa unita. Stante la responsabilità in capo ai titolari di funzioni di vertice nell’Unione e negli Stati membri per violazione dell’ obbligo di rispetto dei Trattati, bisogna si torni alla loro applicazione e che su di essi si pongano le basi della creazione della futura Unione politica d’Europa.

Mentre la disciplina dei tre Trattati è stata – ed è – incentrata infatti sull’obiettivo della crescita degli Stati membri, i quali avrebbero dovuto realizzarlo avvalendosi ciascuno della propria politica economica e della capacità di indebitamento regolamentata (o stabilisce l’articolo 104 c Tue, l’articolo 104 del Trattato di Amsterdam e l’articolo 126 di quello di Lisbona) dal 1997, con il nefasto Regolamento n. 1466/1997 e quelli successivi, si è introdotto un Patto di stabilità e crescita, che all’obiettivo della crescita ha sostituito il risultato della parità del bilancio a medio termine quale obbligo per tutti gli Stati membri. In pratica, con l’attuazione delle disposizioni dei Trattati, l’Unione sarebbe divenuta l’espressione di una collettività di cinquecento milioni circa di abitanti, che, per popolazione, si sarebbe collocata nel mondo al terzo posto dopo la Cina e l’India - sarebbe stata per ricchezza pari agli Stati Uniti - mentre invece il Patto di stabilità e crescita ci ha imposto, a noi e agli Stati membri, con efficacia retroattiva, l’ obbligatoria parità del bilancio a medio termine. Il Patto di stabilità e crescita ha cioè comportato il divieto di indebitamento fino a quando il bilancio non fosse stato in pareggio o fino a quando non fossero sopravvenuti fattori produttivi imprevisti - non vi sarebbe stato possibile quindi alcun incontro tra fattori e risorse.

Il Patto non ha consentito di produrre alcuno sviluppo e le statistiche relative all’andamento del pil nei tre principali Paesi dell’Eurozona lo hanno palesato e dimostrano con i loro bassi tassi di crescita. Con l’obbligo della parità del bilancio in sostanza, gli Stati membri sono stati privati del potere di adottare ciascuno una propria politica economica e sono rimasti assoggettati ad un obbligo, quello della parità del bilancio, fissato direttamente dal Regolamento e “impiccati” ad a un percorso fissato Stato per Stato dalla Commissione, dal Consiglio e dal Comitato economico e sociale europei (con a capo oggi in prevalenza funzionari tedeschi) – tramite “inviti” di fatto cogenti perché se l’invito non viene accettato, lo Stato risulta inadempiente all’obbligo di presentazione del programma. Dopo quindici anni di mancata applicazione dei Trattati, gli effetti prodotti (dalla applicazione del Regolamento n. 1466 del 1997) sono disastrosi, e cioè disoccupazione, imprese costrette a chiudere, fallimenti a iosa, le strutture private e pubbliche non completate, distrutte o in condizioni di degrado, totale perdita di ricchezza.

Si tenga ben presente che il valore del tre per cento e del sessanta per cento del Pil giuridicamente non sono mai esistiti quali limiti all’indebitamento e al debito degli Stati membri; sono stati valori di riferimento che i Trattati hanno tenuto presenti nel regolare la materia del debito e dell’indebitamento (essendo la disciplina da applicarsi unicamente quella dettata dall’articolo 104 c del Trattato di Maastricht, oggi articolo 126 del Trattato di Lisbona). Però, non esistendo più la possibilità in capo ai governi di decidere autonomamente la propria politica economica, il Regolamento n. 1466 del 1997 e quelli successivi hanno posto fine al regime democratico, di cui gli Stati europei rappresentavano la principale espressione al mondo, allo stesso vincolati da norme costituzionali interne, condizione necessaria nello stesso tempo per essere ammessi all’Unione e alla zona euro. E i titolari dei poteri di vertice - nazionali o europei - hanno lottato e lottano oggi per un potere di governo che non esiste. Con l’assegnazione autoritaria dei compiti (che ha arrogato a sé la Germania della Merkel), il Patto di stabilità e crescita ha colpito al cuore il progetto che i Paesi fondatori erano riusciti a mettere a punto.

In una Unione politica d’Europa la garanzia del debito sarà data dalla capacità di produrre crescita, espressa dal sistema nel suo insieme - un livello di capacità che gli Stati membri, nelle attuali condizioni, non sarebbero in grado di promuovere -. È opportuno ricordare infine che gli Stati americani confederati, all’atto di assemblarsi in Federazione, avevano un debito elevato e la Federazione estese il proprio dominio ad aree vastissime. Anche l’Ue contiene aree che potrebbero essere valorizzate, mentre oggi il territorio dell’Unione è colmo di macerie, le capacità produttive nel complesso sottoutilizzate, risultato di ciò che oggi ci consegnano i quindici anni trascorsi sotto l’impero Merkel. Il governo politico dell’Unione Europea avrebbe e avrà mezzi e strumenti per avviare un novello processo virtuoso di sviluppo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20