Il giovane Premier   e il gioco delle tre carte

Come era inevitabile aspettarsi, il premier Matteo Renzi sta facendo il giro delle sette chiese televisive per illustrare agli elettori col telecomando quella che egli sta presentando come “la più grande riduzione delle tasse mai realizzata in Italia.” Ed effettivamente, sventolando la ragguardevole cifra di 18 miliardi, l’impatto mediatico sembra tale da far salire ulteriormente il già alto indice di popolarità di questo campione dalla parlantina facile.

Tuttavia, analizzando nel dettaglio le singole voci di questo presunto abbattimento della pressione fiscale, abbiamo la netta impressione di trovarci al cospetto del più grande gioco fiscale delle tre carte mai realizzato in Italia. Infatti, il grosso della citata riduzione serve a coprire in modo permanente - almeno fino a quando resterà in carica l’ex sindaco di Firenze - il cosiddetto bonus di 80 euro. Bonus il quale, per come è stato concepito, rappresenta una voce di bilancio al confine tra entrate e uscite, trattandosi non di un taglio marginale delle aliquote Irpef, bensì di una regalia a vantaggio di una ben precisa platea di lavoratori dipendenti.

Comunque sia, nel caso di chi opera nel pubblico impiego, o in qualunque settore sovvenzionato, il bonus medesimo va assolutamente considerato nel capitolo delle spese, in quanto il prelievo fiscale per questi soggetti è una pura finzione contabile. Ma anche la tanto decantata decontribuzione per tre anni dei nuovi assunti, con un reddito fino a 19mila euro, rappresenta una finta riduzione tributaria, poiché è lo Stato a farsi carico presso l’Inps dei versamenti mancati. Pertanto, inserire questa voce nel capitolo dell’abbattimento delle tasse costituisce un vero e proprio raggiro propagandistico.

Cosa resta allora dell’arrosto renziano, una volta diradatosi il fumo mediatico di questo “gigantesco” taglio delle tasse? Poca roba. I circa 6,5 miliardi destinati all’Irap, o imposta rapina, secondo una celebre definizione di Giulio Tremonti, altro mago dell’illusionismo finanziario. Una goccia nel mare magnum di una fiscalità feroce che continua a devastare l’economia, soprattutto dal lato dell’imposte indirette e delle tantissime patrimoniali, più o meno occulte. Soprattutto le prime, di cui l’Iva e le accise sui prodotti lavorati rappresentano il grosso del prelievo, vanno a tutti gli effetti considerate tasse sulla povertà, in quanto colpiscono in modo regressivo i redditi e i risparmi dei ceti meno abbienti.

E se veramente l’ossessione dei novelli keynesiani alla Renzi fosse quella di rilanciare la domanda aggregata, e non quella di continuare a comprarsi il consenso con veri aumenti di spesa, sarebbe del tutto coerente agire proprio sul fronte delle citate imposte indirette, cercando quanto meno di riportarle, dopo le mazzate dei precedenti governi, entro i limiti di qualche anno addietro. Ma con l’Iva al 22%, le imposte sui carburanti più alte d’Europa e un prelievo sul risparmio e sul mattone giunto sulla soglia dell’esproprio proletario, ci vuole proprio una bella faccia tosta a parlare di riduzione delle tasse senza precedenti. Ma per carità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26