I “posizionamenti”  governativi del nulla

C’è un lungo elenco di Paesi i quali, a cavallo dell’ultima crisi economica, hanno realizzato profonde e dolorose riforme, abbattendo sostanzialmente il peso insostenibile dello Stato. Persino la patria del socialismo occidentale, la civilissima Svezia, ha ridotto in 15 anni la sua spesa pubblica di quasi 17 punti. Un po’ meno altri sistemi avanzati del calibro di Norvegia, Canada e Australia. Ciononostante, le economie e il welfare di questi Paesi fa attualmente impallidire l’Italietta, che batte tutti i record negativi in fatto di tasse, di indebitamento e di controllo delle risorse da parte della cosiddetta mano pubblica.

Eppure, analogamente a quello che accadeva durante la famigerata Prima Repubblica, le forze politiche continuano ad accapigliarsi praticamente sul nulla, dividendosi in guelfi e ghibellini sulla base di provvedimenti che non spostano di una virgola i grandi nodi sistemici che attanagliano la Penisola. Non caso, “Il Gattopardo” è stato scritto proprio in queste lande desolate.

Ora, dato che nella nostra disgraziatissima democrazia di Pulcinella sembra proprio che non vi sia verso di trovare qualche disgraziato in grado raccogliere un significativo consenso intorno ad una proposta che riduca in modo ragionevole l’attuale, colossale perimetro pubblico, i vari attori politici in campo si limitano a contendersi l’elettorato in forza di uno sterile posizionamento di facciata. Come se ci si trovasse in una rappresentazione pirandelliana, a seconda del gradino in cui la sorte li ha posti, i vari soggetti sono sempre alla ricerca di un copione per interpretare la parte che essi ritengono più conveniente al momento. E da tale punto di vista il Premier Matteo Renzi si sta dimostrando un maestro, aiutato in questo da un’opposizione radical-sindacale che sembra fare di tutto, con il suo impresentabile armamentario ottocentesco, per mettere in risalto la tanto strombazzata vocazione riformatrice dell’illusionista fiorentino. Un uomo che, mance elettorali a parte, ha più che altro sparacchiato senza costrutto raffiche di promesse e di annunci, puntando tutto sull’effetto di trascinamento di un’economia mondiale che, mal per lui e per noi tutti, cresce meno delle previsioni.

Malgrado ciò, come dimostra il pasticciaccio brutto dell’incredibile Jobs Act, soprattutto la sinistra radicale e buona parte del sindacato, compresi i non bolscevichi della Uil, abboccano come sprovveduti alle provocazioni legislative di Renzi, opponendo alla insostenibile leggerezza delle misure governative alte barricate costruite per difendere, per l’appunto, il nulla o quasi. Ma in questo modo, sempre in termini di sterile posizionamento, consentono al capo dei rottamatori di passare per il castigamatti dei campioni del conservatorismo burocratico e assistenziale senza praticamente colpo ferire.

Tant’è vero che, se fosse per l’attuale opposizione, il giovane Presidente del Consiglio potrebbe dormire sonni tranquilli per un tempo lunghissimo. Solo che, come testimonia l’evidente e repentino logoramento in atto nella sua popolarità, oramai i fatti costituiscono l’unico, vero ostacolo ai sogni di gloria di un signorino soddisfatto che credeva di vincere facile solo in forza delle chiacchiere. I continui e drammatici indicatori che misurano la condizione sociale ed economia dell’Italia non hanno mai cambiato verso dacché lo scout Renzi si è installato nella stanza dei bottoni, nonostante le sue mirabolanti visioni.

Se, infatti, a rinvigorire l’immagine del presidente del Consiglio non ci fosse l’involontario soccorso rosso che i tanti professionisti dell’italico collettivismo gli portano quotidianamente, alzando densi polveroni ideologici, l’evidente fallimento della sua linea politica sarebbe stata percepita in modo decisamente più diffuso. Ma come disse il compianto maestro Manzi: “Non è mai troppo tardi”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24