Regionali, ricostituito l’asse Forza Italia-Lega

Dunque è fatta. L’accordo Forza Italia-Lega per le elezioni regionali c’è. A metà, visto che i leader dei due partiti hanno chiuso un patto che ricorda il calciomercato. Forse perché ha pesato l’incrollabile fede milanista dei due protagonisti, ma la conclusione assomiglia a un contratto siglato con Adriano Galliani: Salvini tiene il Veneto e in cambio cede a Forza Italia la candidatura in Liguria alla quale affianca una desistenza in Campania. In Umbria si va tutti insieme mentre, nelle altre regioni dove si vota, ognun per sé e Dio per tutti. Almeno al primo turno.

Sembrerebbe l’ennesima stravaganza di un centrodestra confuso, invece si tratta della dura realtà di una condizione disastrata della destra che stenta a trovare la via della ricostruzione e, nel frattempo, si accontenta di salvare il salvabile. L’intesa raggiunta l’altra notte è segnata dal timore della Lega di vedere messa in discussione la vittoria di Luca Zaia nella corsa per la riconferma alla guida del Veneto. Non c’è dubbio che lo strappo di Flavio Tosi abbia preoccupato non poco i dirigenti del Carroccio. Per tamponare la possibile emorragia di voti in uscita dal tradizionale elettorato leghista, Salvini ha voluto assicurarsi il sostegno di Forza Italia, almeno di quel che resta del movimento dopo gli scandali che hanno coinvolto le figure di spicco del berlusconismo locale. Per ottenere il risultato era chiaro che il Matteo meneghino avrebbe dovuto pagare pegno al vecchio leone di Arcore.

La candidatura in Liguria ceduta al portavoce di Forza Italia, Giovanni Toti, sebbene debolissima per la scarsa esperienza amministrativa del personaggio, consente tuttavia di rimarcare l’esistenza in vita del partito azzurro nel Settentrione d’Italia. La Lega ritira il suo lanciatissimo Edoardo Rixi. La base del partito non gradirà la decisione ma spetta al segretario federale spiegare le buone ragioni per le quali, in politica, ogni tanto tocca di inghiottire qualche rospo facendoselo piacere. Ma la ciccia dell’accordo sta tutta nella rinuncia leghista a presentare una lista autonoma in Campania. Se l’avesse fatto, la Lega avrebbe decretato la sconfitta certa del candidato forzista Stefano Caldoro.

Berlusconi è stato da subito consapevole di quanto, nella regione del Sud, fosse cresciuta la voglia di un voto di protesta tra gli elettori di quel che fu il centrodestra. Se Salvini si fosse prestato a fare da sponda alla ribellione, a Napoli e dintorni sarebbero accadute cose che avrebbero compromesso in modo definitivo il futuro unitario della coalizione di centrodestra. Meglio non rischiare. La rimozione della pietra d’inciampo dal percorso accidentato del non brillantissimo Caldoro concede maggiore serenità ai vertici forzisti. Serenità che non riescono a darsi nell’altra regione-chiave del Sud: la Puglia. Lì pesa la frattura con Fitto. O la si ricompone o si rischia un bagno di sangue. Per uscirne senza troppe ammaccature Berlusconi dovrà turarsi il naso e firmare la pace con il pugliese giusto.

Intanto c’è l’Umbria, l’isola felice dove il centrodestra si ritrova compatto a sostenere la candidatura del sindaco di Assisi, Claudio Ricci. Non si è riusciti, invece, a trovare la quadra in Toscana. La Lega ha un suo rappresentante molto quotato, l’economista Claudio Borghi Aquilini. Per farlo digerire ai forzisti, Salvini, più che con Berlusconi, avrebbe dovuto trattare con Denis Verdini il quale, nel centrodestra toscano, fa il bello e il cattivo tempo, ma sarebbe stato un dialogo tra sordi. Si è optato per le mani libere, anche perché le possibilità di vittoria nella seconda regione rossa d’Italia sono ridotte al lumicino.

Ora che le caselle sono a posto, o quasi, sarebbe opportuno che il nuovo asse, di fatto depurato dall’equivoco neocentrista, si desse da fare per convincere gli elettori a un ultimo immenso sacrificio: tornare a crederci.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11