Pasqua del 2015: cristiani kaputt!

È stata una pasqua di sangue. 148 studenti del campus universitario di Garissa in Kenya sono stati trucidati con ferocia inaudita da un commando somalo del gruppo terrorista Al Shabaab. Tutti rigorosamente cristiani i morti, platealmente islamista la matrice della strage. Il mondo occidentale, ancora una volta, resta attonito di fronte ai numeri e alle modalità dell’atto di guerra.

Di questa inerzia occidentale ne ha consapevolezza anche il Papa che, nelle celebrazioni della Via Crucis, ha parlato senza mezzi termini di “nostro silenzio complice”. Se n’è accorto perfino il sonnecchiante ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ieri l’altro in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: “…da anni c'è un male europeo, quella miscela tra egoismo e ignavia che spinge a voltare lo sguardo dall'altra parte rispetto a ciò che accade oltre il nostro piccolo mondo antico”.

Che anche il pacifismo militante si stia svegliando dal sonno della ragione del quale si è beato in questi decenni? Ci sarebbe da augurarselo visto che il terzomondismo, camuffato con i panni variopinti dei buonisti, è stato il cancro che ha divorato i tessuti sani della nostra cultura. Dopo anni di costante delegittimazione del diritto alla difesa ci si accorge che siamo in balia di tagliagole perfettamente motivati dal punto di vista della lotta armata contro le radici giudaico-cristiane della nostra civiltà. Bisogna pur comprendere che in una guerra o si sconfigge il nemico o si resta sopraffatti da lui. Che sia una guerra non vi sono dubbi. Per comodità interpretativa vogliamo definirla asimmetrica, perché non segue gli schemi convenzionali del conflitto in campo aperto? Passi.

Ma è giunto il momento di rispondere in modo adeguato agli attacchi indiscriminati. Con la maggiore durezza possibile. Bene ha fatto il presidente keniota, Uhuru Muigai Kenyatta, a ordinare una prima rappresaglia aerea contro i campi di addestramento e di supporto logistico di Al- Shabaab su suolo somalo. Ci auguriamo che le operazioni militari proseguano fino al raggiungimento dell’unico obiettivo significativo: l’annientamento fisico degli jihadisti e dei loro fiancheggiatori. È altrettanto auspicabile che dall’altra parte dell’Africa, in territorio nigeriano, si muova una coalizione di forze alleate per mettere una pietra tombale sull’espansionismo criminale degli jihadisti di Boko Haram, i quali nel frattempo continuano a lastricare di cadaveri l’interno della Nigeria.

Se l’ovest del continente africano è lontano, la Somalia invece è molto più vicina all’Italia di quanto la carta geografica faccia immaginare. Abbiamo già sul terreno un contingente di carabinieri impegnati nell’addestramento antiterroristico della polizia locale. Nell’ottica della cooperazione internazionale, piuttosto che sperperare risorse per finanziare progetti che non hanno capo né coda, sarebbe meglio spendere un po’ di quattrini pubblici investendo nella nostra presenza militare al fianco dell’esercito regolare somalo. D’altro canto la Somalia, come la Libia, dovrebbe ricordarci qualcosa, visto che da quelle parti gli italiani sono stati di casa per parecchio tempo. Se tutto ciò è vero per il corno d’Africa, a maggior ragione deve valere per la situazione creatasi nella fascia del Gran Maghreb. In particolare, nella vicina Libia. I giorni passano e nulla più si sa delle iniziative che i paesi occidentali, e tra questi il nostro, avrebbero dovuto realizzare per mettere fine alla guerra civile in atto e all’infiltrazione delle milizie jihadiste dell’Is.

Il governo Renzi, in materia di difesa della sicurezza e degli interessi nazionali, produce solo parole vuote di senso. Trovi, piuttosto, il coraggio di agire se non vuole finire soffocato dalle sue stesse chiacchiere. Gli italiani stanno perdendo la pazienza. E il 31 maggio si avvicina.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09