Una riflessione sulle tentazioni fittiane

Raffaele Fitto ha lasciato Forza Italia. Ma questa non è una notizia. Da tempo era chiaro che la convivenza non fosse più sostenibile. La notizia invece sta nell’approccio che Fitto e i suoi hanno scelto per un percorso politico che li porterà a distanziarsi da Forza Italia. Al netto degli insulti che gli “scissionisti” si sono beccati dai “lealisti” (il più tenero dei quali è stato: “traditori”), sorprende che la strategia messa in campo dall’europarlamentare pugliese muova dall’alto, cioè dall’Europa, e non, come ci si aspettava, dal basso della contesa territoriale. Anzi, la rottura locale appare l’effetto e non la causa della scissione.

Fitto focalizza la sua critica all’ultima fase del berlusconismo partendo dalla permanenza di Forza Italia nei ranghi del Partito popolare europeo targato Merkel e Juncker. Per comprenderne le ragioni facciamo un passo indietro. Il movimento creato da Berlusconi, pur collocandosi nell’alveo della moderna destra “liberal” non ha mai reciso i legami con il popolarismo sociale che l’hanno condotto a compiere scelte in apparenza molto contraddittorie con la proclamata vocazione liberale. La spesa pubblica, ad esempio, negli anni di governo berlusconiano, anziché drasticamente ridursi, è lievitata al punto che la parola d’ordine originaria “meno Stato più privato” è rimasta uno slogan privo di contenuto. Fin quando i conti dell’Occidente tenevano, il centrodestra ha potuto beneficiarne giocando su questa ambiguità. Ma il prorompere in Europa, nel 2008, di una crisi senza precedenti, che dal mercato finanziario si è spinta a travolgere il sistema produttivo, ha rotto l’incantesimo. Il timone della nave europea è finito d’imperio in mani tedesche. La signora Merkel ha potuto in tal modo imporre politiche di austerità nella gestione dei bilanci pubblici degli Stati membri e, sul fronte monetario, la difesa ad oltranza della valuta europea dai rischi connessi ad ipotesi d’inflazione ingovernabile.

La corda al collo degli italiani c’è finita a causa della mutazione egemonica avvenuta in seno all’Ue. Le risatine dei leader franco-germanici, lo spread gonfiato ad arte e le congiure per far cadere il governo Berlusconi nel 2011 non sono altro che tessere di un mosaico. Preso su due fronti, Berlusconi è rimasto paralizzato all’interno di un non-senso. Da un lato ha indicato la signora Merkel e i vertici comunitari come responsabili della crisi italiana, dall’altro, la delegazione di Forza Italia nel Ppe ha votato tutto ciò che la lady di ferro ha imposto che si votasse, compresa la candidatura, francamente indigeribile, alla presidenza della Commissione di Jean-Claude Juncker. Anche lo sciagurato Patto del Nazareno, in qualche misura, recava lo stigma di un ordine, venuto da lontano, di “aiutare” l’azione riformatrice del nuovo pupillo dei poteri forti europei: Matteo Renzi. Era prevedibile che il blocco sociale di riferimento di Forza Italia si disorientasse. D’altro canto, il ceto medio tradizionale ha subìto danni economici devastanti dalla rigorosa applicazione della “cura Merkel” senza riscuotere, in contropartita, alcun dividendo sociale.

Fitto sembra aver compreso la lezione. Il primo atto rilevante che compie non è quello di uscire da Forza Italia ma di lasciare il Ppe e nel, contempo, chiedere di aderire al gruppo dei conservatori ispirati al leader britannico David Cameron, il cui progetto di abbassamento delle tasse e di taglio della spesa pubblica è scolpito sulla pietra. Si dica quello che si vuole di Fitto, ma resta il fatto che la decisione di marcare il campo con un chiaro riposizionamento strategico consente ad una parte dell’elettorato della destra di riorientarsi. Farebbero bene i “lealisti” di Forza Italia e dintorni a riflettere sull’accaduto lasciando perdere insulti e anatemi che non spaventano più nessuno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12