Dopo Expo fra progetti, sogni e… incubi

Maroni ha reagito come un peperino alle promesse vaghe di Renzi sul dopo Expo. E ne ha, o ne avrebbe, ben donde, se dietro la toccata e fuga milanese del Premier e del suo impegno ufficiale post-Expo si celasse soltanto l’ultimo appello alla sindacatura di Sala insieme alla proposta esplicitata su cosa fare dell’area Rho-Pero. Su cui Renzi ha messo il cappello col solito stile “fasotutomi” più vicino al mood del Conte Tacchia che del classico Cumenda nordico, bacchettando innanzitutto qualsiasi impostazione campanilistica. Da ciò la reazione seccata del governatore - più lombardo che lumbard (meno male...) - nel sentirsi tagliar fuori da una ipotesi futuribile non priva di fascino e di opportunità, almeno sulla carta, tanto più che Milano e la sua area ha centinaia, migliaia di eccellenze ed è ritornata, col suo 25 per cento di propulsione industriale, il traino del Paese.

Ma c’è un ma, ovvero i soldi da immettere costantemente nel “Progetto Human Technopole Italy 2040”, come l’ha chiamato Renzi, che comporta la bellezza di un miliardo e mezzo di investimenti. Sui quattrini c’è un sostanziale impegno governativo tramite la Cdp, mentre gli enti locali si occuperanno degli espropri dei terreni, non molto ma meglio di niente. Il che può silenziare temporaneamente le accuse ambrosiane di “esproprio proletario” romano indifferente alle richieste di un campus della Università Statale milanese e di un Polo Tecnologico interuniversitario pubblico-privato. Diciamo subito: attenti al Polo Tecnologico e attenti a tutte le affabulanti previsioni evocanti la mitica Silicon Valley coi sui fascinosi Dream Team e neocapitani d’industria di cui, guarda caso, il Tim Cook successore di Steve Jobs era presente e parlante in contemporanea alla Bocconi. Perché mettiamo le mani avanti? Non certo per insensibilità o, peggio, per partito preso, ci mancherebbe. Il fatto è che di Polo Tecnologico e di Silicon Valley si parla a Milano da anni e nel 1990 fu approvata dal Comune, con tanto di approvazione entusiastica di Bruxelles, la Variante Pirelli Bicocca che fu definita, a cominciare dal patron Leopoldo Pirelli, la “nostra Silicon Valley che richiamerà a Milano intelligenze, eccellenze, studenti e ricercatori, energie nuove e risorse economiche nel solco della più autentica vocazione modernizzante della città”. Il virgolettato non è casuale perché chi scrive l’ha ascoltato e pure applaudito: chi ben comincia, si diceva... Ma la faccenda ebbe un esito ben diverso, dopo il cambio dell’amministrazione ai primi anni Novanta che videro una sostanziale modifica del progetto con prevalente ,molto prevalente, dimensione residenziale, fatte salve la facoltà di scienze politiche e la sede provvisoria della Scala, ora grande contenitore teatrale di musical. Che col Polo Tecnologico e con la meneghina Silicon Valley hanno ben poco a che fare(e lasciamo perdere per carità di patrio il Grattacielo Pirelli, il Pirellone simbolo di Milano di Giò Ponti, comprato da poco dai cinesi).

Ora, non è detto e non vogliamo che la storia si ripeta, ma la prudenza è d’obbligo, anche e soprattutto per un Premier che corre all’impazzata rischiando l’osso del collo, in questo caso il rischio è per la soluzione di uno snodo essenziale per Milano-Italia dopo il successo dell’Expo. È ben vero che il suo è un rischio calcolato con la solenne premessa che “il Governo ha un compito nei confronti di Milano” e dunque il post-Expo sarà gestito dal centro con vista sulla nazione. Peraltro, il significato tutto politico di questo impegno sta nella quasi certa candidatura, fortemente voluta da Renzi, di Beppe Sala a sindaco di Milano costituendo in tal modo un tramite fra il prima e il dopo, fra il successo dell’Expo e le soluzioni del post-Expo. Ma, come andiamo ripetendo, gli ostacoli, i massi al disegno renziano sono già stati buttati in mezzo al suo cammino, da una sinistra milanese che non vuole nemmeno sentire parlare del Sala “messo all’Expo da Moratti e Formigoni”, e dalle non segrete speranze di una certa destra ambrosiana che ipotizza, non senza qualche ragione, un conseguente, probabile sfascio del Partito Democratico nel solco di quanto successe alle elezioni in Liguria. Dal sogno all’incubo, per dire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:08