Dal Procuratore Scalia l’invito a prudenza e qualità

Non è facile eludere la noia che avvince nel corso delle rituali inaugurazioni degli anni giudiziari che si ripetono stancamente anno dopo anno, monotone e sempre eguali.

Chi scrive, da molto tempo, ha preferito disertare quelle aule nei giorni destinati alla ennesima replica di questo stantio rituale. È davvero insopportabile ascoltare più o meno sempre le stesse cose, da decenni affidate alla pazienza di presidenti di Corte d’Appello o di Procuratori Generali, i quali, malgrado loro, sono costretti a lamentare in sequenza: carenze di personale, carenza endemica di mezzi, mancanza di fondi, scarsa possibilità di organizzare uffici sempre più mastodontici, processi troppo lunghi, difficoltà del processo telematico, magistrati sempre più oberati, stanchi, appesantiti da orpelli burocratici… notifiche complesse, uffici postali che non funzionano per le suddette notifiche, prescrizioni incombenti ed inevitabili per reati anche gravi. Un oceano di statistiche, di numeri, di lagnanze ripetute ogni anno come fossero nuove. Se si fosse sostituita una relazione scritta dell’anno in corso con una di un decennio addietro, cambiando date e numeri, nessuno se ne sarebbe accorto: e forse neppure chi l’avesse letta e resa di pubblico dominio.

Insomma, pareva che tali relazioni si occupassero ostinatamente di ciò che si ripresentava ogni anno eguale come nulla fosse, senza però mai affrontare il problema davvero decisivo e che è l’unico che importa agli esseri umani: il tasso di giustizia presente nelle decisioni giudiziarie. Di questo aspetto nessuno si è mai - e ripeto mai - occupato nel corso delle inaugurazioni dell’anno giudiziario.

Ma soltanto fino allo scorso 30 gennaio, allorché il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Catania, dottor Salvo Scalia, inaugurando formalmente l’anno giudiziario in corso, dopo aver lamentato le endemiche carenze e particolarmente la soppressione delle sedi periferiche dei Tribunali, ha messo al centro dell’attenzione la necessità di garantire un livello di qualità minimo delle decisioni giudiziarie. Si tratta di una autentica rivoluzione nella prospettiva assunta dai vertici della Magistratura e che per giunta viene pubblicamente manifestata.

Infatti, il Procuratore Generale ha palesato qui per la prima volta come sia necessario anche interrogarsi sulla reale capacità di garantire un livello accettabile di giustizia per chi la chieda. Certamente, il Procuratore non poteva dire di più, ma è evidente come le sue considerazioni ricomprendano anche tutta una serie di questioni meritevoli di attenzione. Quanto e come i magistrati studino le questioni loro sottoposte; quanto e come garantiscano della necessaria indipendenza nell’adottarle; quanto e come sia perfettibile il sistema di assunzione dei magistrati; quanto e come l’impalcatura giurisdizionale funzioni in modo sufficiente; quanto e come, soprattutto i più giovani fra di loro, siano in grado di affinare il proprio senso giuridico…

Insomma, come dire che non tutti i problemi dell’amministrazione giudiziaria italiana possono essere ricondotti ai tradizionali e ormai consunti paradigmi della efficienza e rapidità - da tutti reclamate - perché in realtà c’è molto di più e di diverso. C’è la necessità di esercitare quella “prudenza”, senza la quale non è possibile neppure immaginare la “giuris-prudenza”, vale a dire la capacità di dire il diritto, ripartendo la ragione dai torti, che è esattamente il compito del giurista. E che il Procuratore Scalia, nel ribadire questa necessità, abbia voluto citare un passo tratto da un saggio di chi scrive queste righe, acquista il sapore di un semplice dettaglio. Perché ciò che davvero conta non è chi sia stato a dire queste cose, ma che qualcuno le dica in modo chiaro e trasparente. Se però a dirle è il Procuratore Generale della Corte d’Appello nel corso della solenne inaugurazione dell’anno giudiziario, allora c’è da sperare - per l’autorevolezza della persona oltre che del ruolo ricoperto - che qualcosa in Italia possa davvero iniziare a cambiare.

C’è da sperare infatti che i Tribunali e le Corti possano ricollocare al centro della loro attenzione prima di tutto la giustizia e non i suoi surrogati. Per questo c’è da esser grati al dottor Scalia. Al Procuratore Generale Salvo Scalia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59