Le Ramblas e la cultura dell’Occidente

Il Bataclan, la Promenade des Anglais, i mercatini di Berlino, le Ramblas di Barcellona, sono luoghi insanguinati dai barbari wahhabiti, perché simboli dell’Occidente. Il cristianesimo non c’entra. È l’Occidente, con le sue ideologie, i suoi stili di vita, l’edonismo imperante, le sue “blasfemie”, il suo pluralismo sociale, religioso e statale, che è pericoloso per l’unicità dell’Islam (tawhîd). Si tratta di terroristi bambini, ignoranti, emarginati? Poco importa, galleggiano, talora inconsapevolmente, dentro una cultura di riferimento solida.

Nella concezione islamica tradizionale, edonismo, consumismo, divertissement, sono i subdoli disvalori dell’Occidente, capacissimi di contaminare il mondo intero. Sono idonei a disintegrare la stessa comunità islamica, perché seducenti, coinvolgenti.

In difesa della religione islamica, la dottrina wahhabita rifiuta la modernità e propone il recupero della tradizione. Per arrivarci lo ijtihād (“sforzo” interpretativo dei testi, ma anche azione bellica) ne indica la strada. In questo modo, le macroscopiche diversità dei due mondi diventano eclatanti. In questo modo s’intende rinsaldare, per contrasto, l’identità unitaria e contrapposta dell’Islam delle origini, osteggiando ogni tentativo di contaminazione, insito nei modelli della modernizzazione occidentale (bid’ah).

Non stupisce, allora, che alcuni intellettuali musulmani, guardando l’attuale condizione dell’Occidente, sollevino paradossalmente il dubbio che quella che noi consideriamo la più grande conquista del mondo moderno, cioè la separazione tra lo Stato e la Chiesa, in realtà sia solo una delle grandi anomalie contemporanee da correggere.

Sui rischi insiti nella società dell’edonismo, analoghe considerazioni aveva fatto, nei primi del Seicento, Blaise Pascal, quando, in difesa della religione cristiana, affermava che, se ciò che ci consola nelle miserie quotidiane è il divertissement, tuttavia questo rappresenta anche la più grande delle nostre miserie, perché ci impedisce di pensare a noi stessi, facendoci perdere il senso della vita. “Senza il divertissement - osservava Pascal - saremmo nella noia... ma il divertimento ci distrae e ci fa arrivare insensibilmente alla morte”.

Per questo, proclamare che i cittadini europei non cambieranno le proprie abitudini e non rinunceranno al proprio stile di vita, nonostante il terrorismo, come hanno fatto tutti i governi, è insufficiente ad interpretare fino in fondo le finalità dello scontro in atto. Di per sé, l’affermazione dà coraggio. La vita sulle Ramblas scorrerà come prima, perché non abbiamo paura. Tuttavia, considerato che il conflitto è destinato a continuare, anche dopo la sconfitta dell’Isis, il dibattito sui modelli di vita dell’Occidente, la crisi dell’Europa e della sua democrazia non può non approdare a qualcosa di concreto.

È nota la riflessione di Böckenförde secondo cui lo Stato liberal-democratico, privo di principi etici, prepolitici e unificanti, di tipo ideologico o religioso, rischia la sua sopravvivenza. Ai diritti l’Europa non intende rinunciare. Tuttavia, dobbiamo anche sapere che l’accettazione dei valori del pluralismo, del secolarismo e delle libertà individuali, quale carattere preminente della democrazia, senza alcun altro collante, riduce la democrazia a puro metodo, che svilisce le ragioni più intime della convivenza. In questo contesto, le regole ferree del mercato completano l’opera, attraverso la frammentazione dei principi di solidarietà e “la trasformazione dei cittadini... in monadi isolate, che agiscono nel proprio interesse e che non fanno che puntare l’uno contro l’altra le armi dei loro diritti soggettivi” (Habermas).

L’esercizio dei diritti richiede maturità. Mentre, per la galassia dell’Islam è sufficiente la soggezione passiva alla propria appartenenza religiosa, che si colloca in una gabbia ferrea, stringente, sorretta dal senso comunitario, religioso e politico della vita. Per i musulmani infatti il comunitarismo è la filosofia della vita, la religione, lo spazio politico, dove si ritrova la propria appartenenza collettiva, la propria identità, la propria dignità. Fuori dalla comunità islamica il musulmano non esiste, non può sopravvivere, muore, perché sopraffatto da montagne di regole “corrotte”, a lui estranee, che negano la propria natura esistenziale. Di qui lo scontro radicale che, per vasti settori della comunità musulmana, non è componibile.

Aggiornato il 28 agosto 2017 alle ore 16:14