Dalla Procura di Genova un assist per Salvini

Matteo Salvini s’infuria con i media e minaccia querele perché è saltata fuori la notizia che sarebbe stata aperta presso la Procura della Repubblica di Genova una nuova inchiesta a carico dei vertici della Lega. Non ci sta “il Capitano” a farsi mettere sulla graticola dal circo mediatico che già ne pregusta una cottura a fuoco lento in vista del rush elettorale. Come dargli torto? Lui non intende farsi azzoppare, in piena corsa per la vittoria, dalle rivelazioni su un’indagine giudiziaria che, stando alla tempistica, appare quanto meno sospetta. D’altro canto, l’accusa è grave. Ai vertici della Lega post-bossiana verrebbe contestato il reato di riciclaggio in riferimento all’ipotesi che fondi pubblici destinati al partito sarebbero stati occultati allo scopo di sottrarli alle azioni di sequestro e successivamente di confisca disposte dalla magistratura per 48milioni di euro dopo che il Tribunale di Genova ha condannato per truffa Umberto Bossi, l’ex-tesoriere Francesco Belsito nonché l’intero collegio dei Revisori dei conti della Lega Nord.

I fatti oggetto del processo penale risalirebbero agli anni tra il 2008 e il 2010 mentre la sentenza di condanna in primo grado risale allo scorso luglio. L’accusa che ha dato l’avvio alla nuova indagine non piove dal cielo ma è la conseguenza di un esposto presentato a dicembre del 2017 da uno dei revisori contabili condannati, tale Stefano Aldovisi, il quale, respingendo le responsabilità poste a suo carico, insinua che l’opera di distrazione dei rimborsi elettorali sia continuata ben oltre la defenestrazione dello storico capo Umberto Bossi risalente al pomeriggio del 5 aprile 2012, giorno delle storiche “dimissioni irrevocabili” del padre-padrone dalla carica di Segretario federale. Quindi anche durante la gestione Maroni e, a seguire, quella di Salvini. I due avrebbero operato, sebbene in momenti diversi, per mettere al sicuro il “tesoretto” della Lega che, stando ai numeri del bilancio chiuso al 31 dicembre del 2012, registrava un attivo di 47 milioni di euro. Dove sarebbe finita quella montagna di denari? É la domanda che Aldovisi affida agli inquirenti. Costoro, al momento, avrebbero puntato i fari su una partita finanziaria di 2milioni di euro della gestione salviniana che, secondo l’ipotesi investigativa, sarebbero stati stornati a beneficio del movimento “Noi con Salvini”. Cosa vi sia di concreto sotto la coltre di polvere sollevata è ancora da stabilire. Tuttavia, com’era prevedibile, l’interessato rispedisce al mittente l’accusa dicendosi totalmente estraneo alle accuse prospettate.

Gli fa eco l’attuale tesoriere Giulio Centemero che ha chiuso sul nascere la querelle con un lapidario: “Siamo pronti a dimostrare che non ci sono stati movimenti finanziari sospetti”. Di là dalle possibili ricadute negative sull’immagine del giovane leader, la vicenda s’incardina nel processo di “debossisazione” del movimento, costituendo una tappa ulteriore della manovra di riposizionamento strategico della nuova Lega rispetto ai target e alle parole d’ordine della vecchia Lega padanocentrica pensata dal suo fondatore. Salvini, ritornando per un momento a indossare l’uniforme del rivoluzionario in casa propria, fa la faccia feroce per rimarcare, se mai ve ne fosse stato bisogno, la diversità ontologica della sua creatura rispetto a quella che è appartenuta al duo Bossi-Maroni.

Questa brutta vicenda potrebbe sembrare il classico fulmine a ciel sereno che guasta la serena giornata salviniana. Ma se non lo fosse? E se al “Capitano”, in fondo, la storia che viene fuori da Genova non dispiacesse del tutto? Potrebbe tornargli utile in una qualche misura? A noi che a pensar male si fa peccato ma spesso si azzecca, viene da rispondere di sì. Almeno per due ragioni. La prima: l’inchiesta gli consentirà, carte alla mano, di rimarcare la sua integrità nella conduzione della gestione finanziaria del partito. Cosa che gli fa gioco nella competizione diretta contro i Cinque Stelle i quali, a loro volta, dell’onestà in politica hanno fatto il principale argomento propagandistico. La seconda: Salvini potrà anche plasticamente mostrare agli iscritti al partito e in generale alla platea dei potenziali elettori che tra il vecchio e il nuovo corso leghista vi è stata effettivamente soluzione di continuità, non soltanto gestionale ma anche ideale e programmatica. Come a dire: non sono io l’erede di Bossi e di Maroni e non ho ricevuto da loro alcuna dote in eredità, né morale né materiale. Si fa un gran parlare in queste ore dell’altro Matteo, capo del Partito Democratico, che sulla selezione delle candidature alle imminenti elezioni politiche avrebbe ridisegnato il profilo di un partito a sua immagine, ma meno si dice del fatto che, sul fronte opposto, analoga operazione sia stata compiuta dall’omonimo capo leghista.

Comunque vada il 4 marzo, il giorno dopo nulla sarà come prima. Neppure la Lega. Al suo posto sorgerà il “PdS” che sta per “Partito di Salvini”. E la certificazione della palingenesi leghista potrebbe venire certificata proprio dall’esito dell’indagine aperta a Genova. Quale migliore viatico per Matteo Salvini di un’archiviazione dell’inchiesta giudiziaria che attesti la sua estraneità ai fatti del passato per avviare l’ormai matura “seconda fase” del suo progetto politico?

Aggiornato il 01 febbraio 2018 alle ore 08:07