L’argine di Mattarella alla deriva antieuropea

La Commissione europea, nell’ambito dell’annuale esame dei progetti di bilancio dei diciannove Paesi dell’Eurozona, ha espresso, come peraltro ripetutamente auspicato dall’Eurogruppo, che riunisce i ministri economici e finanziari, parere contrario al disegno di Legge di stabilità del Governo italiano, per l’esercizio finanziario 2018-2019. In particolare, è stato censurato il mancato rispetto del patto di stabilità, costitutivo dell’Euro, in forza del quale, di anno in anno, il debito pubblico di ciascuno dei Paesi dell’Eurozona deve scendere fino a raggiungere il pareggio di bilancio, da noi anche costituzionalmente previsto.

Dei due elementi che integrano il patto sul quale l’Euro si regge, per tutti i Paesi che lo hanno adottato, il rapporto deficit/Pil, per l’esercizio 2018-2019, era stato indicato dall’Italia e concordato con la Commissione nella percentuale dell’1,6%, mentre la manovra del Governo lo porta unilateralmente al 2,4 per cento, tra l’altro con una previsione prudenziale non condivisa dalla Commissione europea, che teme uno sforamento anche peggiore.

Non può sostenersi, come ritenuto dal ministro dell’Economia e delle Finanze, che vi sarebbe una disparità di trattamento con la Francia, che prevede un rapporto deficit/Pil superiore al 2,4%, perché non si considera che l’Italia, in relazione all’altro elemento del patto di stabilità (rapporto debito/Pil non superiore al 60 per cento) ha un debito pubblico ad oggi di oltre 2.331 miliardi di Euro (il terzo più grande al mondo), mentre la Francia, che ha un’economia più forte di quella italiana (come gli investimenti francesi nel nostro Paese dimostrano ogni giorno) ha un debito inferiore di circa trenta punti percentuali.

Il parere negativo espresso dalla Commissione europea prelude inevitabilmente all’apertura di una procedura di infrazione, non però soltanto su singole violazioni della normativa europea, come più volte avvenuto in passato, senza eccessivi traumi, se pur in modo non commendevole per l’Italia, ma per la prima volta sulla violazione del Trattato istitutivo e regolatore dell’Euro.

L’unico precedente è stato quello della Grecia e tutti sappiamo quali sono state le conseguenze (stretta finanziaria, limiti all’intervento protettivo della Banca centrale europea in ordine all’acquisto dei titoli del debito pubblico – Bot e Cct – come già le aste di questi giorni prefigurano; divieto di accesso al Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf o Efsf) – cosiddetto “Fondo salva-Stati”; controllo periodico dei conti da parte della cosiddetta Troika, costituita da rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale). Trattasi di una prospettiva inaccettabile per un Paese fondatore, prima della Comunità economica europea poi divenuta unione politica, con serio pregiudizio prima ancora che per la nostra economia e il risparmio dei cittadini, per la nostra immagine ed affidabilità nel mondo, già oggi non esaltante.

La determinazione del Governo italiano nel perseverare nella violazione del Trattato, certificata dalla Commissione europea, non può incontrare l’assenso del Presidente della Repubblica, al quale la Costituzione affida il ruolo di garante dell’equilibrio istituzionale e del rispetto della Costituzione e a ciò sono preordinati tutti i suoi atti. Tra questi, vi è quello di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge del Governo e non si vede come il Capo dello Stato possa avallare, con l’autorizzazione, un progetto di legge governativo che violi, per espressa dichiarazione dell’Unione Europea, nel suo organo di vertice, la normativa e gli accordi europei, dei quali l’articolo 117 della Costituzione prevede puntuale rispetto nell’esercizio della potestà legislativa.

L’Europa non può consentire che un Paese violi apertamente le sue regole e gli accordi presi e sottoscritti in sede europea. A ciò si aggiunga il totale isolamento dell’Italia sia nella Commissione europea sia nell’Eurogruppo, che non può che danneggiare, in ogni contesto istituzionale europeo, le imprese italiane. Il Presidente della Repubblica è pertanto chiamato, nell’adempimento del suo ruolo istituzionale, ad arrestare la deriva in corso, riaffermando il primato della Costituzione, nell’interesse dell’Italia e dei cittadini risparmiatori italiani.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino

Aggiornato il 26 novembre 2018 alle ore 11:23