La barca di Forza Italia ribattezzata “Exodus”

Alla disfatta elettorale di Forza Italia Giovanni Toti, governatore della Liguria e anima critica del partito berlusconiano, non ci sta. L’ex delfino del vecchio leone di Arcore ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un commento al fulmicotone che suona da dichiarazione di guerra ai vertici forzisti. Scrive Toti: “Ora basta! Stiamo assistendo alla seconda tornata elettorale in meno di un anno in cui il centrodestra stravince, Forza Italia perde. E perde molto. Dopo la sconfitta delle Politiche, oggi Forza Italia crolla all’8,7%”. Di chi la colpa? Di una “classe dirigente che ha difeso ad oltranza le proprie poltrone, che ha occhieggiato alla sinistra per far dispetto ai nostri alleati, che ha scelto ancora una volta dall’alto candidature con arbitrio totale, che ha emarginato chiunque avesse l’ardire anche solo di sussurrare che qualcosa non andava... Quella classe dirigente ha mentito ai nostri militanti, ai nostri elettori, a se stessa e al leader Silvio Berlusconi”.

Un J’accuse che non ammette scorciatoie: “Tutti a casa! Poi ricominciamo sulla strada giusta”. Ha ragione il governatore della Liguria a vedere la polvere di una situazione fallimentare nascosta sotto il tappetto della grande volontà combattiva del leader Berlusconi? Se si sta ai numeri del consenso Giovanni Toti non ha torto. Il declino di Forza Italia non inizia domenica ma da quando, giunto come Partito della Libertà a toccare il picco della popolarità e della fiducia del Paese, sono state inanellate scelte sbagliate una dietro l’altra, come ad esempio, nel 2014, l’abbraccio mortale con il Pd renziano al Nazareno. L’elettorato non ha perdonato. Alle Europee del 2009 il Popolo della Libertà raccolse 10 milioni 767mila 965 voti, al netto di quelli espressi dagli italiani all’estero; domenica, Europee 2019, Forza Italia si è fermata a 2 milioni 334mila 465 consensi. C’è uno scarto di 8 milioni 433mila 500 elettori che hanno girato le spalle al movimento berlusconiano. Sono tutti degli stupidi che non hanno capito nulla della vita? O non sarebbe più giusto che i capi si ponessero qualche domanda sul dove abbiano sbagliato?

Nel frattempo, i voti fuggiti da Forza Italia non sono evaporati e, soprattutto, non hanno cambiato campo: quando non si sono rifugiati nell’astensione sono rimasti nell’area della destra. Una quota ha subìto la fascinazione del grillismo, un’altra più consistente si è presto riconosciuta nella leadership chiara e coerente di Matteo Salvini. I numeri assoluti lo raccontano. La Lega nella versione 2.0 è passata dal suo esordio alle Europee del 2014 da 1 milione 686mila 556 preferenze a 9 milioni 153mila 638 preferenze della scorsa domenica, con una differenza positiva di 7 milioni 467mila 082 voti. Se a questi si aggiunge il margine positivo di 719mila 195 voti che Fratelli d’Italia ha conquistato tra le Europee del 2014 e quelle del 2019, si somma un capitale elettorale di 8 milioni 186mila 277 voti che, all’incirca, equivale ai consensi persi da Forza Italia nell’ultimo decennio.

I vertici forzisti chiamati in causa da Toti si sentono punti nell’orgoglio. Ma hanno torto a metterla sul personale. La tentazione dell’odierna classe dirigente è di autoassolversi accusando gli altri di essere cattivi o ingrati. Ma così non si aiuta la causa di un partito che ha fatto la storia recente della nazione e che adesso rischia l’estinzione. Toti nella sua requisitoria pone l’accento su un aspetto taciuto in queste ore: il sacrificio inutile del leader fondatore del partito, costretto a tuffarsi in una campagna elettorale che non avrebbe dovuto disputare in prima persona. La figura del presidente Berlusconi andava preservata lasciandogli il ruolo conquistato di diritto di padre nobile del centrodestra. Lo abbiamo scritto in tempi non sospetti che spingere il vecchio leone alla conta in queste elezioni sarebbe stato un errore colossale. Se fino a sabato i due profili personali, quello di Berlusconi e quello di Matteo Salvini, non erano parificabili, non solo per questioni generazionali ma per l’incomparabile curriculum che il Cavaliere poteva vantare, dalla notte di domenica sappiamo che in una scelta affidata agli elettori il giovane leghista lascia indietro il vecchio leone di molte, troppe lunghezze. Come sperare adesso che il bacino elettorale della destra riconosca ancora a Berlusconi il ruolo di playmaker in un’eventuale coalizione ritrovata? A poche ore dalla disfatta, da ambienti vicini al Cavaliere si fa filtrare il desiderio di andare al più presto a un congresso di rifondazione del Movimento azzurro. Se lo si facesse sarebbe un’ottima cosa, a patto però che si assista a un confronto vero e non ad una fiera delle vanità per personaggi mediocri che senza il supporto di Berlusconi non riuscirebbero a conquistare neppure il voto dei parenti stretti.

Per quanto riguarda Giovanni Toti, è chiaro che il suo disagio verso i vecchi compagni di strada sia ad un punto di non ritorno. Il suo orizzonte politico è già altrove, in direzione dell’intrigante esperimento messo in campo da Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, raccogliendo gli stimoli di Raffaele Fitto, concessionario per l’Italia del brand dei “Conservatori e Riformisti europei”, ha abbracciato il conservatorismo. Ora, come la storia del pensiero occidentale degli ultimi tre secoli ha dimostrato, anche l’ideologia conservatrice ha conosciuto molteplici sfumature attraverso le quali è stata declinata. Se si è trovato un modo per essere conservatori alla maniera di Giorgia Meloni perché, nell’ambito del medesimo contenitore politico da lei messo a disposizione, non proporne un altro sagomato sulla silhouette moderata, liberale e tranquillizzante del governatore della Liguria?

Aggiornato il 29 maggio 2019 alle ore 11:29