Basta la parola

Al netto della interpretazione autentica della carta, sulla ricerca in caso di crisi, di una maggioranza alternativa, almeno su una cosa tutti dovremmo essere concordi, non fosse altro che per dare un senso alla democrazia compiuta, l’importanza formale e sostanziale della “parola”. Qui non si tratta solo di rispettare il dettato costituzionale che, all’articolo 54, recita l’obbligo dei parlamentari e di chi svolga ruoli istituzionali, a farlo con onore, si tratta di dare corpo al rapporto di credibilità e di affidabilità fra Parlamento, governo e i cittadini, gli elettori.

Insomma che piaccia o meno i padri costituenti vollero inserire quel termine, “Onore”, per garantire al popolo sovrano sia la certezza della scelta elettorale sia la coerenza dei comportamenti di chi fosse delegato a rappresentarlo e governarlo. L’importanza della parola da parte di chi rivesta funzioni pubbliche non può essere derubricata, almeno secondo noi, a fatto accidentale e contingente all’interno della dialettica politica e degli antagonismi parlamentari.

Tanto è vero, e lo diciamo a titolo di commento più leggero, negli anni Sessanta imperversa in Rai Tivù una pubblicità fondata proprio sull’importanza della “parola”. Basta la parola, annunciava il grande Tino Scotti, a garanzia assoluta della qualità di un prodotto. Ora, si dirà, ma non scherziamo. Non si può mescolare il sacro col profano. Bene, diciamo noi ma quale sarebbe il sacro e quale il profano? Perché delle due l’una, o la parola data non conta mai, oppure se vale per il profano figuriamoci per il sacro, tanto più se rappresenta le istituzioni.

Ecco perché, amici cari, torniamo al punto. Il Paese può essere affidato ad una alleanza che avrà pure i numeri per rispettare la Carta, ma certamente non ha la sincerità e la coerenza per essere affidabile. Il verbo affidare è piuttosto chiaro, non vi pare? Qui non si tratta solo delle accuse, delle insolenze, del dispregio manifesto che c’è stato fra grillini e Pd. Si tratta di impegni pubblici sulla “parola”, a tenere un comportamento e una linea di condotta nella gestione del governo e delle scelte politiche.

Insomma, come valutare un premier che annunci solennemente una cosa e ne faccia una opposta? Un segretario politico che prometta ufficialmente una linea e la rinneghi? Un ex premier che dica ciò che non potrà mai essere, per poi smentirsi clamorosamente? Bene, la risposta è una sola: malissimo. E allora si può affidare il futuro del Paese a chi, pur avendo i numeri, abbia dimostrato così tanta inaffidabilità politica? Ecco perché, secondo noi, bisognava votare, restituire la parola ai cittadini per consentire l’esercizio di scelta e di sovranità.

Tanto è vera l’importanza della parola e della affidabilità, che trascorsi pochi giorni dall’insediamento della maggioranza si è creato un caos e una bagarre da pelle d’oca, tra Renzi, Zingaretti, Di Maio e il presidente Conte che riflette sull’universo e sull’Umanesimo 4.0. Scissioni, contrapposizioni, fughe laterali e trasversali, nuovi gruppi di contrasto, fibrillazioni e rischi di tenuta, dubbi sulla durata, vendette in corso e guerre sui numeri. Per farla breve, si parla di tutto fuorché della stabilità, del futuro e delle necessità per il rilancio del Paese.

Si parla, a vanvera, dell’immigrazione che è tornata ad essere imponente perché in realtà in Europa non è cambiato niente. Si straparla dell’economia ambientale, ma si blocca il decreto per la mancanza di una copertura funzionale. Si annuncia lo stop all’incremento dell’Iva, ma si ha paura dell’Italia viva. Siamo al tutti contro tutti, nel Pd, nei grillini, tra peones titubanti, transfughi e tra gli incoerenti, mentre gli indicatori macro annunciano dolori, discesa dell’economia e di ognuno dei fattori. Che rassicurazione, che scelta di “parola”. Ci garantivano una Ferrari e ci hanno dato una carriola.

Aggiornato il 21 settembre 2019 alle ore 10:34