La ferita della prescrizione

Il blocco della prescrizione dei reati – fortemente voluto dai 5 Stelle – rappresenta una ferita senza precedenti nell’ordinamento giuridico del nostro stato di diritto. Certo, i pentastellati non sono in grado di comprendere fino in fondo cosa ciò significhi e quali problemi comporti e veleggiano, ricolmi della loro triste e pericolosa ingenuità, verso il nuovo anno, convinti di aver fatto bene. Prima o poi se ne accorgeranno e forse sarà tardi per rimediare ai guasti già prodotti.

Ma non crediate si fermino qui, dal momento che essi rappresentano l’essenza stessa del totalitarismo assoluto di un pensiero errabondo e latitante, nutrito di luoghi comuni e di impulsi primitivi, privo di ogni capacità razionale e che, soprattutto, non possiede la minima idea su cosa sia il diritto, cosa uno stato di diritto, cosa la giustizia.

Essi si alimentano di messaggi, di e-mail, di una proliferazione tentacolare di centri di opinione, dove si fa ragione colui che riesce a gridare più forte degli altri, mobilitando alcune migliaia di proseliti su di una piattaforma digitale preconfezionata da un signore davvero temibile – visto che gode del potere assoluto sulla stessa – e assistita da un ex-comico stanco del suo mestiere, il quale ormai fa solo piangere (gli altri, quelli che purtroppo capiscono la tragedia verso la quale stanno conducendo l’Italia come nulla fosse).

E non si fermeranno qui perché già è stato dato l’annuncio della prossima mossa, la quale è stata subito accolta e supportata niente meno che da Giancarlo Caselli, il quale, anche se in pensione da tempo, non ha voluto perdere l’occasione propizia per dire la sua su come gli italiani dovrebbero essere governati dal punto di vista della amministrazione della giustizia.

I pentastellati, infatti, in ciò corroborati dalla saggezza giuridica di Caselli, intendono abolire il grado di appello del processo penale: questo secondo grado di giudizio, secondo costoro, sarebbe defatigante e troppo dispendioso in termini di risorse e di tempo; secondo Caselli invece l’appello sarebbe stato introdotto per tutelare le classi subalterne da magistrati troppo vicini a quelle dominanti, ma oggi, non esistendo più questo pericolo, esso dovrebbe esser subito abolito nel nome della celerità e speditezza.

Benissimo. Peccato sia davvero difficile mettere insieme tante visioni distorte della realtà come si è fatto in questo caso.

Innanzitutto, l’appello esiste da tempo immemorabile e non ha nulla a che vedere con la tutela delle classi deboli. Già nel 509 A.C., infatti, la Lex Valeria consentiva – nell’ordinamento arcaico ramano – a chi fosse stato condannato a morte per gravi reati di appellarsi al popolo. Insomma, venticinque secoli or sono i giuristi romani mostravano più cognizione di causa dei pentastellati e di Caselli.

Non mi meraviglio.

Inoltre, pensare di abolire l’appello è atto di grave tracotanza, un indelebile peccato non contro Dio, ma contro la ragione. Infatti, la ragione sa bene di non poter fuoriuscire dai limiti che le sono propri e perciò si esercita più e più volte sullo stesso problema al solo scopo di ridurre i possibili errori, non potendosi questi in ogni caso mai evitare in modo assoluto.

Insomma, consapevole dei propri limiti e dei possibili errori che questi comportano, la ragione non si accontenta del primo giudizio che riesca a confezionare, ma pretende che questo sia sottoposto ad una prova di resistenza, ad un secondo grado di giudizio: questo e null’altro è l’appello nel processo.

Si tratta di una necessaria prova di resistenza alla quale sottoporre il giudizio di primo grado, allo scopo di ridurre – non mai di eliminare – i margini di errore.

Si badi. Quelle accennate sono pure ovvietà in sede epistemologica, ma si vede che i Cinque Stelle e Caselli non ne hanno notizia: è bene allora che si mettano un poco sui libri a studiarle, anche perché nel processo penale non si discute di teorie cosmologiche o di astrazioni teoretiche, ma di una dimensione molto più importante, la libertà personale.

Forse a loro non importa molto, ma ad alcune decine di milioni di italiani invece si.

Da temere molto, infine, una sorta di piano B dei pentastellati i quali, quando si tratta di minacciare o disintegrare la libertà personale, son pronti a tutto e non si arrendono facilmente. Essi infatti vorrebbero abolire un altro principio cardinale dell’ordinamento giuridico dello stato di diritto, vale a dire il divieto di reformatio in pejus in appello.

Secondo questo venerando e irrinunciabile principio, se un imputato propone appello non potrà vedersi condannato ad una pena peggiore di quella già a lui in primo grado inflitta, tranne nel caso in cui ad appellare sia anche il pubblico ministero: in questo caso sarà possibile anche aumentare la pena.

Tutti capiscono – meno i pentastellati – quale sia il fondamento di civiltà giuridica di un tale divieto: si vuole garantire che l’imputato sia libero di appellare una sentenza di condanna, senza temere un aumento di pena in caso di rigetto dell’appello.

E ciò perchè lo stato di diritto prende le mosse dalla presunzione di non colpevolezza dell’imputato, il quale, proprio per questo, va garantito nei suoi diritti fondamentali.

Invece, i Cinque Stelle non ce la fanno proprio. Non riescono a digerire questa affermazione e partono invece dal principio opposto, quello secondo cui l’imputato è per definizione colpevole: ma se colpevole è – nella fantasia malata dei benpensanti – a che serve l’appello? Meglio abolirlo! E a che serve quel divieto di riforma in peggio? Lo si abolisca subito! Dirò di più: se l’imputato è per definizione colpevole, non si faccia proprio il processo e si passi direttamente dalla formulazione dell’accusa alla esecuzione della pena!

Come faceva Stalin: tutti in Siberia senza processo per una ventina d’anni! Poi si vedrà…

A prescindere poi dal fatto che già oggi, come accennato, se il pubblico ministero proponga appello, allora il divieto di riforma in peggio non opera più.

E allora i casi son solo due: o la Procura non propone appello e allora opera il divieto di riforma in peggio, anche perché se perfino la pubblica accusa è soddisfatta della pena inflitta in primo grado, non si vede perché la si dovrebbe aumentare all’imputato che sia il solo ad appellare; oppure la Procura propone appello e allora il divieto di riforma in peggio non opera.

E allora? Di cosa stiamo parlando? Cosa c’è da modificare in questa disciplina?

I Cinque Stelle non lo sanno. Letteralmente. Eppure governano. Questa la vera tragedia!

Aggiornato il 09 dicembre 2019 alle ore 13:01