La dittatura del politicamente corretto

Possiamo dire di avere le tasche piene di una strisciante dittatura del politicamente corretto, senza suscitare reazioni scomposte a base di querele e di deferimenti al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti, così come è accaduto a Libero? Un giornale di cui spesso non apprezzo i toni esagerati e una certa verve antieuropea che considero autolesionistica.

Tuttavia, il quotidiano diretto da Pietro Senaldi sta subendo in questi giorni un vergognoso linciaggio morale a 360 gradi che considero inaccettabile. Ciò per aver pubblicato un commento di Giorgio Carbone sulla fiction della Rai dedicata alla figura di Nilde Iotti, la prima donna che assunse la carica di presidente della Camera dei deputati. Un commento che inizia con un lungo elogio, nel quale l’articolista definisce la Iotti in tale ruolo “saggia e imparziale come pochi prima e dopo di lei”. Ma poi aggiunge: “Era facile amarla perché era una bella emiliana simpatica e prosperosa come solo sanno esserlo le donne emiliane. Grande in cucina e grande a letto. Il massimo che in Emilia-Romagna si chiede a una donna”.

Un ragionamento che lascia il tempo che trova e che contiene una generalizzazione sulle donne emiliane piuttosto banale, semplicistica e francamente piuttosto superficiale. Un ragionamento non degno di nota, insomma. Eppure questa innocua valutazione ha scatenato sui media e sui social una vera e propria guerra di religione contro Libero, reo di due peccati ideologici imperdonabili, almeno nel pensiero dei sacerdoti di quella succitata dittatura del politicamente corretto: aver osato toccare uno dei miti storici di una certa sinistra ed essersi permessi di accostarla ad un luogo comune con cui, soprattutto in passato, in alcuni ambienti venivano dipinte le donne emiliane. A tal proposito ho assistito con un certo disappunto ad un improvvisato processo mediatico ai danni dello stesso Senaldi, andato in onda giovedì scorso su La7, nel corso de “L’aria che tira”.

Il nostro è stato messo letteralmente alla gogna dall’indignata conduttrice Myrta Merlino, in questo coadiuvata da una scatenata Concita De Gregorio, professionista dell’antisessismo in servizio attivo permanente, perché colpevole di aver avallato l’eresia del suo collaboratore. Evidentemente per questa gente la tolleranza e la libertà d’espressione finisce laddove comincia il loro intoccabile pantheon composto di personaggi deificati e di opinioni considerate alla stregua di verità rivelate, in cui trova ovviamente posto un certo qual vittimismo femminista il quale, seppur ancora assai giustificato in un recente passato, oggi sembra sempre più assumere il valore di un banale strumento di carriera personale e/o di pura propaganda politica.

Sta di fatto che persino due avvocate, Cathy La Torre e Rita Nanetti, hanno preannunciato una denuncia collettiva per diffamazione, estesa a chiunque la voglia sottoscrivere, da presentare alla magistratura contro chi si presume abbia infangato la figura della Iotti e le donne emiliane in generale. Ergo, si vorrebbe colpire con una condanna esemplare l’evidente caduta di stile manifestata dal giornalista di Libero, anziché lasciare al giudizio dei lettori e dell’opinione pubblica in generale il compito di valutare una questione che, come tante altre analoghe, sta assumendo alti livelli di stupidità, in particolare da parte chi si ritiene unico depositario della verità.

In realtà, molto più banalmente, è probabile che sotto lo sdegno che in molti hanno ostentato per aver leso la reputazione di una madre della Repubblica, così come l’ha definita in diretta la stessa Merlino, ci sia la malcelata, rancorosa ostilità nutrita nei confronti di un giornale che si è permesso di ricordare il nesso non causale tra la straordinaria carriera politica della Iotti, certamente strameritata, è la sua lunghissima relazione extraconiugale, iniziata nel 1948 e durata fino alla scomparsa di quest’ultimo, con “Il Migliore”, alias Palmiro Togliatti, indiscusso segretario del Partito comunista italiano che, tra le altre cose, fu per molto tempo uno stretto collaboratore di Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Stalin. E su tutto questo, oramai storicamente conosciuto pure ai sassi, non c’è indignazione o querela per diffamazione che tenga, cari compagni.

Aggiornato il 13 dicembre 2019 alle ore 12:18