E adesso, dove va la Brexit?

I sudditi di Sua Maestà Britannica si sono espressi in modo inequivocabile. Sono corsi in massa a votare, e la vittoria di Boris Johnson è schiacciante ed il significato chiarissimo: Brexit.

Chi scrive non è affatto contento; da liberale tradizionale avrebbe preferito essere cittadino di un’Unione europea assieme ai britannici, con la loro storia di libertà ed il loro senso della tradizione. Adesso però, da osservatore, mi chiedo: dove credono di andare? È semplicistico rispondere che un’isola può isolarsi, per definizione. In realtà in questo mondo affetto da globalismo nessuno può isolarsi, tanto meno il Paese patria non solo della Rivoluzione industriale ma anche della globalizzazione, con l’Impero Britannico. Ho scritto “affetto da globalismo” perché minaccia le identità nazionali e locali che fanno ricco il mondo. Quello che i britannici non hanno compreso è che lUnione europea è uno scudo per difendere, con una identità paneuropea, le identità nazionali e non farle travolgere. Non temono il globalismo in quanto si sentono la metropoli dell’Impero, ma è solo una nostalgia. Si vogliono stringere agli Stati Uniti d’America? Ma sarebbero quelli i dominanti dell’Impero. La Gran Bretagna sarebbe il museo della politica anglosassone, visitato dai bovari americani che vanno in visita alle loro nobili reliquie. Archeologia politica. Il Commonwealth? Per rivitalizzarlo occorrerebbe il consenso delle ex colonie rimaste. Il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda sono grandi e solide realtà, possono accettare una confederazione su un piano di parità o forse anche una federazione supernazionale; hanno già, per via dell’unione reale, lo stesso capo dello Stato del Regno Unito, ma esso ne sarebbe uno Stato membro, come sino a posdomani lo è dell’Unione europea, e non la metropoli di colonie. Certo, potrebbe isolarsi ed attrarre capitali come un paradiso fiscale; ma, in politica, conterebbe quanto Montecarlo.

Aggiornato il 13 dicembre 2019 alle ore 18:10