Il problema dell’Italia sono gli italiani

Qualcuno penserà che oggi, a causa della digestione pesante delle feste, vogliamo buttarla in sociologia. Può darsi, ma il ragionamento, per il lettore che avrà voglia di seguirlo fino in fondo, e se mi consentirà l’inciso di sapore shakespeariano, non è del tutto astruso e a fine anno è sempre tempo di diete e di bilanci per tutti.

Lo scopo, del tutto intellettuale, delle seguenti considerazioni, che non vogliono fare la morale a nessuno ma solamente constatare e prendere atto dello status quo, è quello di fotografare lo “stato della nazione”, ovvero quello che, se fossimo negli Stati Uniti d’America, potrebbe essere il senso del discorso presidenziale sullo “stato dell’Unione”. Ecco: il nostro è ormai chiaramente lo stato della disunione. E cioè, senza andare troppo per le lunghe e per sviluppare il ragionamento dalla fine anche per chi fa fatica a leggere un testo complesso, i famosi analfabeti funzionali, il problema dell’Italia sono gli italiani.

Nei giorni scorsi il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha tagliato drasticamente i contributi pubblici ad alcuni quotidiani. La scomparsa de “Il Foglio” e “Italia Oggi” dall’elenco dei finanziati dovrebbe far indignare quanti leggono giornalmente queste testate, che evidentemente sono pochi, o scarsi, o ritenuti poco rilevanti dal suddetto gabinetto. In due anni il finanziamento per l’editoria è stato sforbiciato di circa 33 milioni di euro l’anno. L’opera l’aveva cominciata – e strombazzata ai quattro venti già al tempo del suo insediamento – Vito Crimi, matematico non laureato del Movimento Cinque Stelle, quello che Radio Radicale era un mangiatoia a cui togliere la convenzione per le trasmissioni parlamentari, e l’ha finita Andrea Martella (Partito Democratico) che, sospettiamo, in tre mesi dal suo insediamento abbia fatto né più e né meno che da passacarte.

Alla qual mannaia, forca o come la vogliamo chiamare, gli italiani, quelli che chiaramente non leggono alcun quotidiano, cartaceo o meno, hanno applaudito ed esultato con gli occhi di fuori e la bava alla bocca come cani ringhiosi. Perché, se non ve ne fosti accorti, il clima che si respira è ormai da invidia sociale; un clima dovuto al fuoco di ritorno di una povertà reale che ha portato il livello del dibattito pubblico su qualsiasi tema – ma in particolare riguardo all’utilizzo delle risorse statali, cioè di tutti, per il finanziamento di quel che resta della cultura italiana – ad un parossismo di ignoranza diffusa e cavalcata con bruta arroganza oltre ogni limite di sopportazione, che si potrebbe anche chiamare tranquillamente violenza. Verbale, relazionale, al bar, per strada, on-line, costante.

Ovunque ci si giri si sentono, si leggono, si guardano in televisione, si devono tollerare, ragionamenti di una barbarie che si sperava debellata e di una pochezza di argomentazioni a sostegno che l’approdo nell’agone politico di una intera classe non dirigente, non laureata, in molti casi mai neanche occupata e quasi sempre miracolata, ha portato al suo massimo facendo il lavaggio del cervello a milioni di italiani e li ha portati credere che la spendita dei denari pubblici sia il male, a prescindere dal senso e dal perché quei fondi vengano erogati. Politici ladri, giornalisti servi e loro paladini del popolo ma non populisti e nemmeno sovranisti, solo ignoranti.

La “Teoria dell’Ignoranza” infatti recita: no ai finanziamenti all’editoria, no ai finanziamenti pubblici ai partiti, ma no anche alle lobby che finanziano i costi della politica, che il barbaro e il rimbarbarito ignorano esistere ed essere ingenti per chiunque non sia ricco ma voglia fare politica e no a tutti quelli che azzannano la mammella pubblica a seconda di come fa comodo al “regime” di turno. Una pletora informe di scandalizzati e protervi pensatori da tavola calda che trent’anni fa al massimo avrebbero trovato un impiego come lustrascarpe e che però alla mammella pubblica ci si sono attaccati con le tenaglie. Loro sì, l’informazione e la cultura no. Tutto regolare.

L’attenzione su una manovra economica da Soviet Supremo è passata in secondo piano, la gente ha fame, ma qualcuno le tasse, a fronte di servizi pari a zero, ponti che crollano e un livello politico sottozero, le deve stra-pagare, solo per farli contenti. L’ignorante rivoluzionario è pago se gli danno pochi spiccioli al mese con un reddito di cittadinanza temporaneo, perché tanto, come la cicala, lui non pensa che l’obolo per i masanielli finirà e nel frattempo le imprese avranno chiuso, sbarrato, strozzate dalle tasse e dai debiti contratti per continuare a pagare gli stipendi, i contributi e tutto il resto dei balzelli occulti.

Ai cervelli di cicala non interessa che chi se lo poteva permettere se ne sarà andato, giovani e non e, arriviamo al punto, i giornali avranno chiuso, i giornalisti non avranno più senso di esistere, gli avvocati, i medici e tutti i professionisti nemmeno. Perché costoro, quelli che non hanno mai avuto un’impresa in proprio, che non hanno mai lavorato, che si sono laureati con lo stipendio da parlamentari e si sono anche rifatti il guardaroba grazie a tutti noi, hanno gioito e gioiscono nel far passare il concetto che l’informazione è gratis, che la professionalità è zero, che la cultura è dell’élite e il pluralismo delle voci libere è il nemico del popolo. Quello stesso popolo che evidentemente pensa lento ma sputa veloce sentenze a morte se un ragazzo a cui avevano appena ridato la patente tolta per droga stronca due vite in un colpo solo e non vede che siamo pieni di padri e di madri che nonostante gli sforzi non riescono a tenere i figli, ricchi o poveri, lontani dalla droga, che dimentica troppo in fretta le ragazzine fatte a pezzi o lasciate a morire nei capannoni su materassi luridi. Sono quelli che si concentrano sul fatto che a vent’anni chi guida un suv è ricco, è un privilegiato. E ricco è male e quindi devi morire alla gogna del baretto, mediatico e non. Devono essere parenti di quelli che non capiscono che quella droga è anche il frutto di un’accoglienza indiscriminata e che le tasse che hanno disintegrato il ceto medio sono il costo di decenni di welfare mal concepito di suo e poi anche regalato ad altri che in cambio hanno dato, ad oggi, molto poco o nulla, ma di sicuro tanta droga. Ma soprattutto, questi indignati speciali, questi invidiosi seriali, questi che provano anche a tenersi gli appartamenti ministeriali in centro al prezzo di una camera in periferia, sono il frutto della cultura che non hanno e che vogliono togliere anche a noi.

Già, forse è meglio drogarsi che prendere coscienza del livello politico zero a cui assistiamo inermi da anni. L’Italia ormai è spaccata in due: quelli che capiscono e quelli che non capiscono un tubo. Il problema dell’Italia sono gli italiani che questi cialtroni li hanno mandati a governare e che, è chiaro, loro i giornali non li leggono e quindi sono inutili. L’augurio, insomma, è per un 2020 governati da gente che almeno sappia dove sta Matera e che la Russia non è un Paese del Mediterraneo, che non parli di “Pinochet in Venezuela” o di “lobby dei malati di cancro”, e che chi non lo sa mandi a governarlo qualcuno che l’abbia almeno letto da qualche parte. Ecco a che servono i libri, i giornali e chi li scrive, forse dovrebbero leggerli prima di farli chiudere.

Aggiornato il 27 dicembre 2019 alle ore 18:33