Il volontario asservimento: un requiem per il diritto e la libertà

Sarebbe il caso di ripetere e riflettere oggi su una celebre esclamazione della classicità e in modo dubitativo attribuita a Cicerone: “Mala tempora currunt!”. Infatti, va registrato un fenomeno sociale molto complesso, ma soprattutto delicatissimo e che ci riguarda tutti da vicino, producendo un effetto che non è eccessivo definire di “progressivo e volontario asservimento” di tutti nei confronti di varie dominazioni che cerco ora di illustrare brevemente. Individuo qui tre livelli differenti e successivi di dominazione (con l’ultimo sdoppiato in due rami), gravanti insieme su tutti e su ciascuno di noi, secondo modalità che vengo ad esporre, e con irreparabile danno inferto alla dimensione giuridica dell’esistenza, quella cioè a partire dalla quale ogni essere umano si costituisce nelle relazioni con i suoi simili: non a caso, una illuminante definizione di Antonio Rosmini vedeva nella persona umana “il diritto sussistente”. La cosa che poi più dà da pensare è che tale forma dominativa viene non solo tollerata dai suoi destinatari – cioè dalla stragrande maggioranza delle persone – ma perfino richiesta ed approvata.

Il primo livello di dominazione che l’epoca contemporanea ci presenta è quello esercitato dalla politica direttamente nei confronti e in danno proprio del diritto. Ne è emblematico esempio lo stile autocratico adottato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale a getto continuo sforna decreti non più che amministrativi, ma destinati a limitare fortemente o ad annullare gli spazi di libertà personali, incurante delle previsioni costituzionali che richiedono allo scopo o apposite norme di legge o addirittura specifici e motivati provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Qui la volontà politica spodesta in linea di fatto ogni previsione costituzionale, ogni riserva di legge, ogni cautela giudiziaria, sovrapponendosi a tutte le norme quale unica fonte di legittimazione possibile. Siamo ben oltre quello “stato d’eccezione” che Carl Schmitt individuava quale territorio privilegiato per l’esercizio della sovranità: siamo alla eclissi del diritto, sostituito dalla semplice decisione politica, siamo alla logica della forza (della politica) che spodesta la forza della logica (del diritto). Tuttavia – secondo quanto aveva perfettamente intuito Etienne de La Boétie – i destinatari di questa pura forza, priva di legittimazione, non perdono occasione per sollecitare ulteriori misure, parimenti sfornite di legittimazione, desiderosi – a causa del terrore in loro suscitato dai mezzi di comunicazione a larga diffusione – di essere “salvati” dall’autocrate Conte, visto come il protettore dei deboli e degli indifesi da un nemico invisibile, il virus pandemico.

La politica, a sua volta – e questo è il secondo livello dominativo – viene sottoposta ad un’altra dominazione, ancora più indiscutibile ed esigente. È quella esercitata dall’economia, nel senso che la politica sa bene di non essere in grado, pur scavalcando i limiti posti dal diritto, di ignorare le esigenze della dimensione economica: le leggi economiche si fanno strada, qualunque cosa accada, facendosi beffe di ogni autocrazia politica. Gli autocrati lo sanno bene e perciò devono tenerne conto senza compromessi o infingimenti: fu proprio la logica ferrea dell’economia a determinare – sia pure nel lungo periodo – il crollo dell’impero sovietico, politicamente invece inossidabile. Anche i nostri autocrati dovranno perciò assistere allo sfacelo completo del tessuto economico della nostra società, il quale si verificherà nonostante ogni loro tentativo in senso contrario. 

Il terzo livello di dominazione va considerato sdoppiato in due rami, fra loro paralleli ed interagenti: da un lato, la tecnocrazia; dall’altro, la finanza. Per un verso, la politica e perfino l’economia sanno di dovere soggiacere – e di fatto soggiacciono – allo strapotere della tecnica applicata, cioè alla tecnologia, che, destinataria di credenze fideistiche ed antiscientifiche, diviene compiutamente tecnocrazia. Lo prova abbondantemente quanto accade in questi giorni, fra microbiologi e virologi, in aspra polemica fra loro. Per un verso, Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia all’Università di Padova e direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienza ospedaliera di Padova – insomma non proprio l’ultimo arrivato – ha dichiarato che per un vaccino serio occorrono anni di preparazione e che perciò lui non si sottoporrà al vaccino che si dice pronto a fine gennaio, dopo appena sei o sette mesi di attività preparatorie. Per altro verso, gli altri scienziati gli son letteralmente saltati addosso, accusandolo di ogni mancanza – perfino di attentare alla sicurezza nazionale – e censurandolo pesantemente. Crisanti, scrivendo ieri al Corriere della Sera, ha stigmatizzato l’approccio assurdamente fideistico e sorprendentemente antiscientifico dei suoi colleghi, osservando che essi, autoproclamatisi “custodi della ortodossia scientifica”, considerano il vaccino un “oggetto sacro”, al quale credere in ogni caso e senza alcun dubbio. Invece, di dubbi, lui ne ha, da bravo scienziato: egli afferma che le aziende multinazionali produttrici non hanno manifestato la necessaria trasparenza nel comunicare i dati necessari alla Comunità scientifica, soprattutto per la cosiddetta “fase 3” della sperimentazione, non supportata da sostanziali evidenze scientifiche. Aggiunge che tali aziende, nel momento stesso in cui hanno comunicato la imminente commercializzazione del vaccino, hanno visto lievitare il valore delle proprie azioni in misura notevolissima. Profetizzo il finale di questa storia: Crisanti sarà messo a tacere, mentre gli altri suoi colleghi celebreranno i fasti di una tecnologia priva di un tasso accettabile di scientificità, alla quale la maggioranza aderirà per pura fede, divenendo così compiuta tecnocrazia.

Quanto appena detto, introduce il ramo collegato del medesimo terzo livello: quello della finanza internazionale. È proprio questa a propiziare una sostituzione della fede alla scienza: questa viene surrogata da quella, proprio in virtù della enorme pressione esercitata dalla dinamica finanziaria globalizzata. Sicché, la finanza globalizzata, per un verso, e la tecnocrazia, per altro verso, dialettizzandosi e sostenendosi reciprocamente, esercitano una autentica ed irresistibile dominazione su economia e politica, condizionandole pesantemente: e queste, a lor volta, sul diritto. Tutte queste forze spadroneggiano in tal modo su di noi e a nostro danno: su tutti e su ciascuno. Risultato: che lo si capisca o no, lo sia ammetta o no, non potendo nessuno resistere a simili forme dominative, ci avviamo a non esser più soggetti di diritto. Saremo soltanto ubbidienti e pazienti esecutori di altre volontà, volontariamente asserviti alle altrui deliberazioni. Possiamo già intonare un requiem per il diritto e la libertà. Cioè per noi.

Aggiornato il 25 novembre 2020 alle ore 09:59