Lo saboteranno. Specie se dovesse diventare premier grazie a Matteo Renzi. Magari solo indirettamente. Cosa, peraltro, al momento difficilmente prevedibile, visto che Giuseppe Conte sta attaccato al suo premierato come una cozza al proprio scoglio. E Draghi, un genio dell’economia (e non solo) lasciato, anzi abbandonato, a occuparsi di un problema grosso come quello che si chiama Italia, se non potrà avvalersi di un esercito di collaboratori nello Stato – e in Italia nessuno ha questo privilegio per grazia ricevuta – non andrà da nessuna parte. Se per giunta gli apparati di questo Stato, lungi dall’aiutarlo, gli remassero pure contro, la Caporetto sarebbe più che annunciata.

Siccome Mario Draghi è effettivamente un genio – basta semplicemente ascoltarlo quando parla, sia in italiano sia in inglese – non sarà mica così scemo, o pazzo orgoglioso, da accettare un incarico da premier in mezzo all’attuale “tempesta perfetta” provocata dal vento di impazzimento politico e sociale? Che gliene verrebbe in tasca? Dopo avere servito il Paese – anzi salvato – da governatore della Bce (Banca centrale europea) che altro gli si potrebbe chiedere? Non si pretenderà mica di evocarlo come una schedina vincente del Superenalotto, cui sognare di affidarsi quando si è alla disperazione? E l’ostacolo più grande che incontrerebbe Draghi – in una preposizione super ipotetica che riguarderebbe la effettiva nomina – sarebbe uno e uno solo: la riforma dello Stato del diritto. Penale, civile e amministrativo. Ormai distrutto dal giustizialismo politico e dal sindacalismo dell’Anm (Associazione nazionale magistrati). Tutto irriformabile se lasciato nelle cure degli addetti ai lavori. Come avvenuto, da sessanta e passa anni, a oggi. Se non si tolgono la giustizia e le leggi della relativa riforma ai magistrati, se ne perpetuerà inevitabilmente il relativo sacerdozio. Francamente ormai insopportabile, anche perché nel frattempo la organizzazione – chiamiamola così – del sistema è giunta al collasso se non alla morte cerebrale.

Con una macchina che non funziona non solo nella tempistica, ma anche e soprattutto nella qualità del prodotto, ogni altra riforma sarà inutile. In Italia non si riceve facilmente giustizia. Le carceri sono da terzo mondo, molte condanne ingiuste, moltissime a dire il vero, gli errori giudiziari si sprecano (come i relativi risarcimenti). E nel campo civile – e amministrativo – tutto è bloccato. I prepotenti sono favoriti dalle circostanze e molti magistrati se ne fregano. Il Paese del “famme causa”. Molte toghe dell’accusa cercano solo la notorietà o scelgono il combattimento da prima linea – più presunto che vero – come primo step per l’avventura politica o, magari, solo per guadagnare bene e stare sempre in mostra in tv. Ormai dai primi anni Novanta è una tendenza che si nota anche nel mondo dell’informazione, specie in quello che incrocia proprio la cronaca e la politica giudiziaria.

Draghi o Dinosauri se non cade questo tabù, che la giustizia e la relativa amministrazione è e resterà sempre “affare loro” – e che, di conseguenza, le leggi di riforma loro se le devono suonare e loro suonare – il nostro Paese si godrà un lento (neanche tanto) declino. E chiunque proverà, con le migliori intenzioni possibili, a prendere questo toro per le corna, si ritroverà inevitabilmente infilzato come capita a qualunque torero inesperto.

Aggiornato il 15 gennaio 2021 alle ore 09:22