Le democrazie muoiono così

Devo dire che, perso per perso, mi sarei augurato una maggioranza più forte, in grado di reggersi su un numero più consistente di parlamentari e politicamente autosufficiente.

Invece, ci ritroviamo a sorridere sul nome di un improbabile senatore che aveva eletto il domicilio parlamentare presso un ulivo da abbattere o sulla longevità (benedetta) dei senatori a vita.

La situazione è tale che, quand’anche andasse in scena la replica dello spettacolo di ieri, il risultato non cambierebbe: qualcun altro farebbe il salto della quaglia e darebbe il suo contributo alla salvezza del governo, sostenendo di agire nell’interesse del Paese.

La ragione di tutto questo, però, non si riduce alla (legittima) difesa dell’unico posto di lavoro possibile per molti dei votanti, ma è lo specchio dello stallo in cui, da troppo tempo, ci troviamo.

Nel 2008, pur consapevoli della sconfitta cui andavano incontro, le sinistre non impedirono il voto. Avevano un programma, credevano in una alternativa e sapevano che una politica era possibile, anche dai banchi dell’opposizione. Oggi, non più: un semplice distinguo è mal tollerato.

Sono certo che, nonostante tutto, molti, anche tra le fila avversarie, tireranno un sospiro di sollievo. Intanto, perché la pantomima è (al momento) finita, ma soprattutto perché nessuno è stato in grado di indicare una alternativa davvero credibile.

Giuseppe Conte resta al suo posto, mentre gli altri se ne vanno a casa, ripetendo a se stessi di avergliele cantate come si deve.

Le democrazie muoiono così, per bulimia di parole accompagnata da anoressia delle idee. Si spengono lentamente quando agli uomini manca il coraggio di opporsi, di imprimere una svolta al declino che vivono.

Ci sarà sempre qualcuno che, di fronte all’incognita del futuro, sceglierà il meno peggio, così illudendosi di salvarsi, ma non rendendosi conto della ferita che infligge a se stesso e all’impianto delle libertà che gli ha permesso di essere dove si trova.

Col tempo, qualcun altro comincerà a chiedersi se quelle libertà siano davvero indispensabili e non si opporrà alla chiusura degli edifici che dovrebbero proteggerle.

La politica, in fin dei conti, è come il processo penale: l’efficientismo prevale sulle garanzie. Meglio un Dpcm di una lunga e fastidiosa discussione in aula. L’emergenza è la condizione migliore per erodere la fede nei diritti. Crollata questa, cancellare quelli è un gioco.

Inutile, dunque, additare al ludibrio questo o quel senatore e accusare Conte e combriccola di colpe che sicuramente hanno, ma di cui non sono unici responsabili. La verità è che una frase ad effetto che promette una soluzione rapida ed efficace vale più di mille ragionamenti: fa risparmiare tempo e rasserena la coscienza. Come nei processi penali, appunto, dove l’unica cosa che conta è la frase che negli ultimi quarant’anni ho sentito ripetere fino alla noia. Andiamo avanti.

Aggiornato il 20 gennaio 2021 alle ore 11:18