Elogio di Renzi: uomo di sinistra, ma di sinistra democratica

A Matteo Renzi gli Italiani devono qualcosa, qualcosa di importante. La fine del peggior governo dell’intera storia repubblicana e, insieme, il tentativo di arrestare l’involuzione del Partito Democratico e della sinistra nel suo complesso, verso il ritorno a formule, visioni e pratiche antidemocratiche, che furono proprie del Partito Comunista. Renzi non è certo un uomo di destra liberale e neanche un centrista pragmatico, è un cattolico di sinistra con venature socialiste e liberal (e la mancanza della “e” finale la dice lunga) che naviga benissimo nel mare del poco tollerante “politically correct”. Però è un modernista, un social-democratico, in una parola un riformista. Ed è per questo che a sinistra è odiato.

C’è qualcosa che corrode all’interno della sinistra italiana, che la agita e dissolve fin dalla sua nascita ed è il rifiuto del riformismo democratico, che risorge ogni volta che essa sembra sul punto di approdare definitivamente alla tolleranza, un richiamo della foresta che sempre la allontana dalla democrazia liberale nell’ultimo tratto, quando pare che vi stia finalmente per approdare. Prima i massimalisti, poi i bolscevichi e i comunisti, poi ancora i centri sociali e i maoisti. E oggi i giustizialisti insieme a fondamentalisti verdi e terzomondisti. C’è sempre qualcuno nella sinistra che, alla domanda se si debbano e possano rispettare gli avversari, risponde di sì, però sia chiaro mica tutti. E coloro che invece, sempre nel corpo della sinistra, aderiscono compiutamente alla democrazia e ai suoi valori, vengono isolati e attaccati. Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, Filippo Turati e Giuseppe Saragat, Randolfo Pacciardi e Bettino Craxi, Leonardo Sciascia e Marco Pannella, sono esempi classici di uomini politici emarginati, quando non violentemente esclusi (e in un paio di casi fu il giovane socialista Benito Mussolini a compiere l’impresa) e oggi l’opera sembra continuare con Matteo Renzi.

L’uomo non è propriamente simpatico, è guascone come solo i “maledetti toscani” sanno essere, è accentratore e però non è comunista, non lo è mai stato e non lo rimpiange. È certo troppo sbrigativo e impulsivo e la sua riforma costituzionale era uno sbrego, ma io non ce lo vedo Renzi a scassare l’economia di mercato, a fare nuove leggi liberticide contro i reati d’opinione o a imporre la segregazione di massa con semplici decreti amministrativi. E temo che sia proprio per questo che a sinistra lo rifiutino e stiano tentando di attaccarlo in tutti i modi, fino al punto di far cadere un proprio governo pur di emarginarlo. La sinistra, anche quella di oggi, lo fa sempre, almeno quella parte ancora preponderante della sinistra, che sente come lacerazione impossibile a sopportarsi la separazione dal mito dell’egualitarismo totalitario, per quanti lutti esso possa aver provocato nella storia. Non a caso, la migliore battuta su di lui, negli anni della sua presidenza, diceva come Renzi fosse “l’unico esempio storico di bambino che mangia i comunisti”. Nel suo caso conta, certo, anche la banale cronaca politica, la concorrenza, il potere, le ostilità personali ma è difficile sfuggire alla sensazione che al fondo della vera e propria aggressione che mi pare stia subendo, vi sia la sua emarginazione proprio in quanto “diverso”, diverso da una lunga tradizione comunista settaria, che può accettare di essere messa in soffitta, ma non contraddetta.

È un problema che sembra purtroppo tornato d’attualità. Come si spiegano altrimenti le ormai polverose tirate antifasciste, che, quando erano dirette contro Alcide De Gasperi, Giuseppe Pella, Mario Scelba o Fernando Tambroni erano sicuramente totalmente ingiustificate, ma almeno avvenivano ad una relativa breve distanza dalla fine del fenomeno, mentre oggi hanno un che di davvero surreale, un po’ come richiamare Erode o Attila come pericolo politico. Il nemico della democrazia si definisce con concetti generali: dittatura, totalitarismo o altro, ma non con un nome storico come fascismo, perché è come strizzare l’occhio e dire che per altre dittature, da quelle comuniste a quella religiose, il discorso può essere diverso, oppure per contrasto, che la bonifica delle paludi o l’enciclopedia Treccani, furono negative perché “fasciste”. Si capisce però facilmente, come Renzi e i suoi c’entrino poco con sardine, grilli, centri sociali, vecchi sindacalisti, attivisti anti-tav, spegnitori d’altiforni e procuratori d’assalto.

Lo so bene che ci sono cattolici democratici o semplicemente democratici, come Romano Prodi, Graziano Delrio, Andrea Marcucci o (perché no?) Stefano Fassina, anche nella sinistra tradizionale, però non sono apparsi in grado di contrastare realmente la deriva autoritaria del passato governo e comunque, in ogni caso, non l’hanno fatto, come non l’hanno fatto quei –non molti – grillini che non sono pregiudizialmente ostili alla democrazia parlamentare. È come se dall’amalgama Pd-Cinque Stelle, nel vecchio governo, fossero state esaltate le caratteristiche peggiori dei due partiti: dal giustizialismo giacobino all’ordine poliziesco, dal freno allo sviluppo all’autoritarismo sanitario, fino al grave pregiudizio della Costituzione.

Diversa è stata davvero Italia Viva. Parlamentari come Ettore Rosato, Matteo Colaninno, Teresa Bellanova, l’antico radicale Roberto Giachetti o il nuovo arrivato Catello Vitiello, si sono rivelati dei socialisti democratici, deputati che, sia pure per imitare le sinistre di tradizione anglosassone (anche se questo non è sempre un gran pregio, perché Jeremy Corbyn o Bernie Sanders non sono proprio un modello di tolleranza e democrazia liberale) tuttavia hanno cercato di difendere metodo e sostanza della nostra società libera e lo stato di diritto. E lo hanno fatto mettendo a reale rischio il loro partito e anche la loro stessa permanenza in Parlamento.

D’altro canto, il guascone Renzi – mettiamola come vogliamo – si è dimesso ben due volte, senza nessun obbligo di farlo, per un referendum confermativo e per una elezione inferiore alle aspettative. Non tutti l’avrebbero fatto. Insomma, c’è un bel contrasto rispetto agli antichi Trinariciuti italiani di Guareschiana memoria (traduciamo in Threenostrilled, per dare anche a loro un tocco di modernità progressista) perché alla fin fine i renziani sono altro e, anche se non possono davvero sperare di travestirsi da moderati di centro, questo basta e avanza per farli odiare a sinistra. E allora dico grazie a Renzi, per aver fatto cadere il peggiore dei governi possibili e riaperto il gioco democratico, grazie per aver spianato la strada all’ottimo Mario Draghi. Grazie per aver ripreso il discorso sulla giustizia giusta e lo dico anche se non lo voterò mai, come non lo voteranno gli elettori di centrodestra (non si illuda) neanche i più moderati. A tutti i sinceri democratici, anche a destra, non può però che far piacere l’esistenza di una sinistra finalmente occidentale, che chiuda – si spera – una triste fase che sembrava voler imitare il Venezuela di Nicolás Maduro. Ma, detto questo, poi ognuno a casa sua. A queste considerazioni ottimistiche, non posso tuttavia evitare di aggiungere una riflessione finale, pensando al governo passato. Ma è mai possibile che noi Italiani, per arrivare al Piave e a Vittorio Veneto, dobbiamo sempre passare prima per Caporetto?

Aggiornato il 19 febbraio 2021 alle ore 09:58