Ultimi negazionisti e il grande placebo

Alla vigilia, si può ormai davvero sperare, del ritorno alla normalità democratica e civile, grazie alle scoperte scientifiche che l’eccellenza e la creatività di laboratori e aziende farmaceutiche hanno assicurato con i vaccini e anche, almeno da noi, alla fine del peggior Governo dell’intera storia repubblicana, nell’augurare al governo dell’ottimo Mario Draghi di svincolarsi al più presto da ogni eredità della plumbea gestione di Giuseppe Conte, è forse il caso però di tirare un bilancio dell’azione dei ministri e dei vertici della salute pubblica della passata gestione della pandemia.

Se è infatti comprensibile che il nuovo Governo non abbia ancora potuto e voluto cambiare, appena dopo la sua costituzione e senza aver potuto ancora studiare a fondo le carte, la politica sanitaria del precedente, resta però che tale politica è stata profondamente sbagliata. Se noi italiani siamo contemporaneamente tra i primissimi al mondo per numero di morti e contagi in rapporto alla popolazione, per grave rallentamento di cura delle altre malattie, per calo della produzione e del commercio, per aumento del debito pubblico, per ripetuta inosservanza della Costituzione, per scontri tra Governo e poteri locali, per ritardi nell’approvvigionamento di vaccini e per gravissime violazioni delle libertà individuali, è impossibile sostenere che non vi siano responsabilità di tutta la passata gestione governativa.

È certo che un po’ tutti i Paesi hanno avuto gravi problemi, ma nessuno risulta così gravemente deficitario in tutti i settori, e contemporaneamente, come noi. Prima di riuscire (o almeno provare) a capire, vediamo però quale significato ha assunto oggi una parola: negazionista. La parola, che sta ad indicare chi nega, contro ogni evidenza, qualcosa di comunemente accettato e comprovato, è stata inizialmente utilizzata contro alcuni storici che negavano l’esistenza dei campi di sterminio nazisti o, comunque, che questi campi servissero proprio a questo scopo. Poi si è allargata nell’uso a tante altre e diverse situazioni, a coloro ad esempio che negano che la terra sia tonda (i cosiddetti terrapiattisti) o i negatori dello sbarco sulla luna, a tutte quelle persone, insomma, che semplicemente negano i fatti attribuendo il loro accreditamento ad una invenzione mediatica o addirittura a un complotto.

Ora, io credo che il significato del termine andrebbe allargato pure a chi nega a se stesso, anche inconsciamente, la vera natura di un fenomeno e, invece di guardare al semplice fatto, lo colora di considerazioni che poco o nulla hanno a che fare col fatto stesso, che anzi viene così ad essere mascherato da ideologie, paure, prevenzioni o interessi, fino quasi a scomparire, coperto da mille deformazioni. Il Coronavirus è una grave malattia e come tale andava trattata. Non altro, non era e non è un castigo per i nostri peccati, mentre la guarigione non è un premio per le nostre virtù civiche e caritatevoli, ma un successo della nostra scienza. In questo senso, in troppi sono stati inconsciamente negazionisti della natura di malattia del virus, non hanno fin da subito proceduto correttamente con rilevazioni statistiche a campionatura di diffusione, contagiosità, morbilità e mortalità, non hanno finanziato immediatamente con grandi somme a fondo perduto ricerche su vaccini e medicine specifiche, non hanno rapidamente aumentato posti letto, terapie intensive, assunzioni e assistenza. Non hanno cercato, insomma, di “governare” razionalmente il fenomeno e neanche di informare correttamente, ma hanno trattato la malattia quasi come se fosse un problema sociologico legato ai comportamenti dei cittadini. E questo, purtroppo, soprattutto da noi.

Come hanno fatto molti governi, a cominciare proprio dal nostro che è stato il primo – e quindi principalmente responsabile, e uno dei più decisi – nell’Occidente che si vuole democratico (l’opaca Cina, che comunque democratica non è, sapeva certo dove e forse pure come, tutto era nato) a imporre la segregazione forzata e il cambio drastico e obbligato di comportamenti? Hanno provato a imporre una quarantena, storicamente dimostratasi efficace contro epidemie batteriche concentrate, ad una pandemia virale ormai completamente delocalizzata, cercando disperatamente di “chiudere il mondo”. Tutti a casa.

Naturalmente, hanno subito dovuto cominciare con le eccezioni, le centrali elettriche no (eh, non si può) e neanche quelle del gas e dell’acqua, e neanche i negozi alimentari. Figuriamoci poi gli ospedali e i poliziotti (sennò chi controlla i cittadini) stessa cosa per le fabbriche o i treni e autobus per andarci, i contadini, i camionisti e ancora tante altre categorie. Rendendo subito chiaro, se lo si fosse voluto vedere, che la cosa era in realtà praticamente impossibile. E poi cosa fare delle scuole, dei bar, dei teatri, dello sport? Qui si è fatto un po’ sì e un po’ no, secondo tempi e modi (e occasionali maggioranze) locali e nazionali. Insomma, in pratica quello che più frequentemente poteva davvero costare una multa era, in realtà, camminare per strada, con o senza “museruola”. Quando la concentrazione del virus all’aperto è praticamente nulla rispetto al chiuso, dove tra l’altro ci si bacia e ci si tocca certo di più, ma dove le telecamere del potere non sono (per ora ) ancora entrate.  Non poteva funzionare e non ha funzionato.

È certo vero che se non frequenti un uomo o un ambiente contagiato, non c’è contagio, come è vero che se con un cucchiaio togli dell’acqua dal mare gliene levi davvero un po’, ma non è vero in generale che si possa vuotare il mare col cucchiaio o arrestare un virus pandemico con le mascherine o imponendo ai barbieri di farti i capelli e non la barba. L’acqua, fatto il suo ciclo, ritorna sempre al mare e un virus respiratorio, specie se molto contagioso e relativamente poco letale e diffuso dunque anche da molti “sani contagiati”, trova lo stesso la strada per diffondersi. Sicché, per quanto difficile possa essere, è comunque più facile imparare a curarlo che arrestarlo.

All’inizio, nello smarrimento e nella generale impotenza degli esecutivi di far fronte a un evento inatteso, alla richiesta di “fare subito qualcosa” da parte della gente allarmata dall’enorme risonanza mediatica, i governi sono stati portati a comportamenti imitativi dettati dal panico e hanno deciso di credere e di far credere che si potesse davvero arrestarne la diffusione. Se questo però, nonostante la storica conoscenza dei virus aerei influenzali, poteva ancora essere scusabile all’inizio della pandemia, oggi è ormai inaccettabile, semplicemente perché si è visto che non può funzionare. Se la prigionia, chiamata furbescamente lockdown, avesse funzionato, avremmo dovuto vedere una chiara dipendenza statistica, una evidente correlazione tra chiusure e diffusione del morbo, una forte differenza tra nazioni che hanno chiuso tutto, hanno chiuso poco o non hanno chiuso affatto, (proprio come, ad esempio, è chiara ed evidente una differenza tra estate e inverno che indica per il Covid una vera correlazione statistica stagionale molto simile alla altre malattie respiratorie) il che però non è, non è semplicemente vero.

La malattia si diffonde in mille modi, in maniera indipendente dai provvedimenti dei vari governi, con una distribuzione che, dopo ormai più d’un anno, appare stocasticamente casuale e non si vede affatto una maggior diffusione percentuale in Paesi che non hanno chiuso o chiuso poco, anzi i Paesi che hanno chiuso di più ( come molti paesi europei) sembrano paradossalmente aver registrato più contagi, il che se non significa addirittura che chiudere aumenti il contagio, non significa però certamente il contrario. La chiusura e il blocco di tutti, col Covid non hanno funzionato. Intendiamoci bene, anche solo la speranza di salvezza di poche vite è importante, anche di una sola, ma solo se per far questo non si rischia di perderne molte di più, che, temo, sia proprio il caso del fenomeno in oggetto. Quante sono le vittime in Italia, dei ritardi di centinaia e centinaia di migliaia di esami inerenti alle patologie oncologiche (patologie in cui la rapidità è essenziale), quante le vittime della serrata economica oltre al milione di disoccupati di stima Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), quante le aziende del commercio e del turismo al fallimento, quanti i giovani che la chiusura delle scuole fa vagare nelle periferie, quanto il nuovo debito pubblico che graverà per generazioni, quanti ospedali e ricerca biomedica in meno per la crisi economica e quanto peserà, alla fine, sul nostro costume, il rancore sociale che si va accumulando?

Ci hanno detto che dovevamo rinunciare alla libertà per la salute, stavamo invece perdendo la libertà e anche la salute. Ma allora perché l’hanno fatto? L’hanno fatto perché sono rimasti vittime, alcune sprovvedute, alcune conniventi, di un gioco pericoloso: la demagogia. Alla gente, spaventata, che chiedeva di fare qualcosa, non hanno saputo rispondere che il morbo era nuovo si stava studiando e dunque il rimedio ancora non ci poteva essere, di attendere dunque con ragionevole fiducia che i laboratori e le Università ne studiassero la cura, senza pretendere subito dagli esperti certezze od opinioni concordanti per forza basate solo su ipotesi, non hanno detto di limitare autonomamente nuovi incontri, ma continuando a vivere e lavorare normalmente, perché il virus era pericoloso e molto contagioso però nella gran parte dei casi non mortale.

I governanti (e i media) non hanno trattato i cittadini come adulti raziocinanti, ma come bambini. E gli hanno dato un placebo, un grande placebo: l’illusione che chiudendo tutto si potesse arrestare il virus. E a questo totem hanno sacrificato tutto: libertà, democrazia, economia, posti di lavoro, coesione sociale, affetti, amori e infine la stessa salute. Ma prima di tutto la Ragione, abbandonata e trasformata nel suo opposto, la Dea Ragione con i suoi riti. E così è cominciata una campagna insistita, ripetuta, martellante, su due punti: la salute prima di tutto e il rispetto delle regole. Solo che la medicina è una pratica concreta, fisica, serve a guarire, non a fare della mediocre sociologia e i vecchi governanti, invece di agire tangibilmente sui presidi medici (non abbiamo, unici in occidente, investito niente di serio in ricerca di vaccini) ne hanno fatto uno slogan penosamente simile a quello di tutti i regimi autoritari. “Il prima la salute” è diventato il “pensa alla salute” con cui i cinici di tutti i tempi hanno tentato di scoraggiare chi voleva combattere per la libertà, chi voleva protestare per un arresto illegale, chi difendeva la democrazia. Mentre “il rispetto delle regole”, ripetuto come un mantra, in maniera del tutto indipendente dalla bontà delle regole stesse, dalla loro legittimità e da quella delle procedure per stabilirle, cercava di nuovo di instillare nei cittadini il riflesso condizionato dell’obbedienza cieca e assoluta a qualunque ordine dall’alto, eterno sogno di tutte le dittature, in atto o potenziali, con il corollario del “senso civico” dei conformisti che collaborano, pronti a denunciare i critici come untori, con la stessa compiaciuta stolidità, con cui lo hanno sempre fatto per tutti i regimi.

Ma poi, se non fossero stati trovati i vaccini, avremmo finito per attendere l’immunità di gregge o saremmo restati chiusi per sempre? La cosa peggiore è però un’altra ed è che per taluni (e non tanto pochi) la pandemia è stata un’occasione per rinnovare vecchi e cari sogni (mai del tutto abbandonati) di comunismo infantile che, ormai impresentabile nelle sue vere vesti, si ripresenta sotto forma di irreggimentazione salutistica, di massificazione precauzionale, di egualitarismo militaresco, di statalismo ecologico e si nutre di affermazioni come “niente deve tornare come prima”, dove il “prima” significa semplicemente una società aperta basata sulla libertà, che in cuor loro aborrono.

Vorrebbero espellere la morte dalla vita, ma così possono solo espellere la vita dalla vita. Non si poteva continuare così, senza mandare un pensiero a Henry David Thoreau e alla sua disubbidienza civile. Ma sono di nuovo ottimista, si può credere che siamo finalmente ad una svolta, grazie alla presenza nel governo di un centrodestra maggioritario nel Paese (nelle componenti di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi), grazie ad una maggiore tolleranza nei rapporti politici, grazie ad una ripresa dello spirito di solidarietà europeo, grazie a quelle Università e società farmaceutiche (dove uno non vale uno) che hanno studiato e capito il virus, grazie alla grande competenza di Mario Draghi e Giancarlo Giorgetti (che cerca di far produrre anche in Italia i vaccini) e grazie forse anche al fatto (lo giudicheremo all’opera) che alla guida del maggior partito della sinistra ci sia finalmente un non-comunista cresciuto nella scuola di Romano Prodi e Beniamino Andreatta.

Il governo Draghi ha già marcato una forte discontinuità col precedente, utilizzando, per prolungare le prescrizioni Covid, al posto di un semplice atto amministrativo un decreto-legge che ci riporta, finalmente, al rispetto della Costituzione e del Parlamento, ma ci attendiamo molto di più e non credo che saremo delusi. Noi che non vogliamo smettere di essere cittadini di uno Stato democratico, che vogliamo decidere da soli le nostre scelte e le nostre abitudini, che vogliamo rispettare leggi che siano rispettose di noi e non diventare numeri di un algoritmo, le chiediamo, presidente Draghi, di riportare la nostra Nazione, non solo in Europa, ma nel mare aperto delle società liberali. Perché è la Libertà che dà senso e valore alla vita. Presidente Draghi riapra gradualmente tutto: vogliamo tornare a lavorare, a comunicare, a vivere.

Aggiornato il 22 marzo 2021 alle ore 10:05