Crisi energetica: il pretesto della guerra in Ucraina

È molto probabile che la guerra in Ucraina non sia l’unica responsabile della crisi energetica che sta attraversando, in vario modo, l’Europa. Non è facile che venga ammesso, ma anche i governi hanno la loro parte di responsabilità in questa tragedia sociale che sta soffocando sia la società, sia le imprese di ogni taglio e che continua con il tenere i cittadini sotto un’ombra di paura che segue quella della pseudo-pandemia, la quale ogni giorno rivela maggiori perplessità.

Quindi, la crisi energetica è causata dalla guerra in Ucraina, dalle scelte dei nostri governanti in Europa o è una deliberata speculazione? Visto come è stata gestita l’info-pandemia, valutando il rapporto tra le tassazioni imposte e i servizi erogati dai governi, ovviamente sproporzionati – enormi tasse, servizi semi-assenti – e che una società terrorizzata si domina meglio, potrei ritenere che ci sia ovviamente un’immensa responsabilità dei governanti europei, spinti anche da una forte tendenza speculativa. Comunque, “nell’affaire crisi energetica” alcuni Esecutivi hanno maggiori colpe, altri meno.

Il risultato è che molti settori industriali, sotto il pretesto della guerra in Ucraina e della speculazione legata alla crisi energetica, stanno subendo ferite mortali. Sul fronte occupazionale, alcuni settori specifici mostrano segnali di crescente debolezza. Alla luce dei rincari del prezzo del gas e del suo razionamento, lo spettro dell’inverno sta già pesando sulla mente delle persone. Con questa crisi energetica, che colpisce duramente il Vecchio Continente, il rischio non è tanto una eventuale penuria di gas e petrolio, cosa tutta da analizzare, ma un concreto rischio che i prezzi di questi idrocarburi siano incompatibili con le risorse economiche dei cittadini. Così l’Europa, ufficialmente, sta cercando – con questa motivazione – di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico per non dipendere più dalla Russia ma, per ora, sottovalutando il peso economico che è il fattore più influente sulla società.

Il turco Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, ha dichiarato che “è la prima volta che sul Pianeta si sta verificando una crisi energetica globale”. La ritengo una osservazione strumentale, in quanto la maggior parte del Pianeta non ha la minima percezione di quanto dichiarato da Birol, il quale ha poi affermato che l’Europa è “l’epicentro della turbolenza”. Ma, aggiungerei, che l’Italia è “l’epicentro dell’epicentro”. A fine luglio, dopo una pesante riduzione dell’erogazione del gas dalla Russia, gli stati dell’Unione europea hanno adottato un piano per ridurre i propri consumi del 15 per cento entro maggio 2023. Contestualmente, sono nati dei progetti di sfruttamento del gas naturale presente sui territori dei singoli Stati. Questa nuova politica energetica, legata forse strumentalmente alla guerra, che vede i governi anteporre lo sfruttamento dei combustibili fossili alle considerazioni ambientali, ridisegna i programmi che fino a poco tempo fa erano dogmi.

Tuttavia, nonostante che dal 24 febbraio siano stati innalzati i massimali di produzione e siano stati autorizzati nuovi siti di perforazione, il presidente della Commissione europea ha invitato gli Stati membri a non rinunciare al loro impegno per la riduzione dello sfruttamento degli idrocarburi fossili. Infatti, questo rischio di minacciata penuria consente ai politici di sostenere l’espansione del settore del gas in un modo che sarebbe stato impensabile anche un anno fa, a causa delle preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici. Sarà forse questa una delle motivazioni di tale operazione socialmente terroristica?

Così nel Mare del Nord, Regno Unito, Danimarca, Germania e Paesi Bassi stanno aumentando o riprendendo lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale. Anche l’Ungheria prevede di aumentare la produzione di gas da 1,5 a 2 miliardi di metri cubi. Carsten Mühlenmeier, che da agosto 2020 è presidente dell’Ufficio statale per l’estrazione mineraria, l’energia e la geologia e responsabile per le trivellazioni nel Mare del Nord, ha chiaramente dichiarato che “la guerra russa contro l’Ucraina ha dimostrato che l’approvvigionamento energetico è una sfida che va al di là di determinate misure di sicurezza e in particolare di preoccupazioni ambientali”. Va comunque sottolineato che l’Europa meridionale, compresa l’Italia, ha nelle pipeline provenienti dal Maghreb e dall’area danubiano-balcanica una fonte di approvvigionamento di gas sicuramente ottimizzabile. Considerando, inoltre, che gli Stati Uniti dai primi di marzo inviano centinaia di navi cariche di gas liquido nel Mediterraneo (un business ciclopico degli Usa) e che il sottosuolo italiano, sia terrestre che marino, ha notevoli risorse energetiche. Ma essendo un aspetto troppo strategico, evito di commentare.

Un rischio poco noto è che la Francia ha previsto di riattivare e sfruttare maggiormente le obsolete centrali nucleari ubicate al confine sud, limitrofe alle regioni settentrionali italiane. Un’operazione ad alto rischio che allarma la sicurezza dei territori dei confini italiani che, come possiamo immaginare, in caso di malfunzionamento delle vecchie centrali nucleari dovranno evacuare. Un piano di evacuazione previsto, a quanto pare, coinvolgerebbe le regioni del Nord. Ma la guerra in Ucraina forse c’entra poco.

Aggiornato il 11 ottobre 2022 alle ore 10:01