La Consulta e l’obbligo vaccinale anti-Covid tra Labeone e Dostoevskij

“Vinta giace la pietà, e la vergine Astrea, ultima tra gli dei, abbandona la terra imbevuta di sangue”: così scriveva Ovidio descrivendo la vergine dea della giustizia che mestamente lascia la terra dei mortali ritenuta irrimediabilmente e irredimibilmente violenta, ingiusta e sostanzialmente anti-giuridica.

Le spalle ricurve in allontanamento della dea della giustizia che, triste, isolata e solitaria, va via sconfitta, lasciando il posto alla violenza, alla sopraffazione, all’arbitrio, sembrano riproporsi oggi, come ai tempi dei versi di Ovidio, specialmente dopo la gestione pandemica ratificata e legittimata a posteriori dalle tre recenti pronunce della Corte costituzionale in tema di obbligo vaccinale le quali, ad una lettura attenta, risultano tanto grottesche quanto sostanzialmente anti-giuridiche poiché in palese contraddizione con l’orientamento passato sul punto della medesima Corte, con le risultanze della scienza e, soprattutto, con i principi generali dell’ordinamento.

Con le sentenze numero 14, numero 15 e numero 16, infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato che in sostanza la costruzione normativa dell’obbligo vaccinale per i vaccini anti-Covid non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima poiché al momento in cui fu deliberato le risultanze della scienza assicuravano il funzionamento del vaccino medesimo ai fini della tutela della salute pubblica.

Sul punto non ci si può esimere da alcune considerazioni critiche.

In primo luogo: di primo acchito, come se i profili prettamente giuridici della vicenda non avessero alcuna rilevanza, verrebbe da chiedersi a che livello è la magistratura italiana, poiché se la Corte costituzionale ha ragione significa che tutte le numerosissime toghe di giurisdizioni monocratiche e collegiali che l’hanno adita hanno torto: in soldoni, la Corte costituzionale avrebbe chiarito che moltissimi giudici italiani non capiscono un bel nulla delle norme più basilari di tutte, cioè appunto le norme costituzionali, sollevando numerosi contenziosi costituzionali dinnanzi alla Corte medesima senza che ve ne fosse reale motivo. Se, invece, tutti codesti giudici hanno realmente ragione – come in effetti pare per motivi qualitativi, cioè in virtù delle concrete e gravissime problematiche giuridiche sollevate, e non quantitativi, cioè in base al numero di toghe che le hanno evidenziate – significa che è la Corte costituzionale ad aver preso una micidiale cantonata (e del resto nella sua lunga storia non sarebbe certo la prima volta…!).

In secondo luogo: tralasciando le suddette malevole, ma verosimili interpretazioni occorre specificare che le tre predette pronunce in tema di obbligo vaccinale anti-Covid si pongono in contrasto proprio con ciò che la Corte costituzionale ha statuito nell’arco dei decenni sul tema dei diritti fondamentali in genere, del diritto alla salute in particolare e dell’obbligo vaccinale soprattutto. Proprio la Corte costituzionale, infatti, non soltanto ha specificato con la sentenza numero 264/2012 che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non può essere frazionata, ma soprattutto ha chiarito molte volte, per esempio con la sentenza numero 118/2020, che il singolo non può sopportare un pregiudizio in favore del beneficio che la collettività possa da ciò ricavare, proprio perché, come specificato nella sentenza numero 455/1990, il diritto alla salute è “riconosciuto e garantito dall’articolo 32 della Costituzione come un diritto primario e fondamentale che impone piena ed esaustiva tutela”. Sorprende, quindi, che adesso la Corte costituzionale abbia ribaltato la sua precedente consolidata visione della tutela del diritto alla salute, stabilendo, infatti, con la predetta sentenza numero 14/2023 che “il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto come si è detto titolo per l’indennizzo”, cioè ritenendo in sostanza l’integrità psico-fisica del singolo sacrificabile a vantaggio della collettività che dovrà, tutt’al più, limitarsi a indennizzare al singolo il pregiudizio subito dalla vaccinazione. In buona sostanza e riassumendo: secondo la Corte costituzionale, nella suddetta recente sentenza, il diritto alla salute del singolo può essere leso poiché remota è una tale evenienza, e ciò non rende anti-costituzionale l’eventuale obbligo poiché alla fine tutto si copre con la logica indennitaria. Insomma al ragionamento e al fondamento strutturalmente giuridico del diritto alla salute, la Corte, in modo quanto mai arbitrario e sorprendente, contrappone il ragionamento e il fondamento artificiosamente econometrico della sua indennizzabilità in caso di lesione, chiarendo che il singolo leso dal vaccino non può lamentare lesioni dei suoi diritti costituzionali se da ciò la collettività ha tratto un vantaggio e se si attiva il sistema indennitario, un po’ come faceva il vecchio Labeone (secondo i racconti delle notti attiche di Aulo Gellio) il quale essendo ricco ed estroso andava in giro con una verga in una mano e con un sesterzo nell’altra mano per malmenare e contestualmente risarcire i malcapitati che incrociavano il suo incedere soddisfacendo all’un tempo il proprio capriccio e la loro subita lesione. Alla Corte, purtroppo, sfugge la distinzione tra l’antigiuridicità della lesione e la giuridicità della sua riparazione, nel senso che la ristorazione del danno subito non cancella l’antigiuridicità del danno medesimo o, ancor più a monte, della causa che il danno ha prodotto, così come la detenzione non cancella l’antigiuridicità del crimine commesso, anzi la presuppone.

In terzo luogo: il ragionamento proposto dalla Corte costituzionale si pone in netto e frontale contrasto non soltanto con la sua stessa precedente e consolidata giurisprudenza, ma anche e soprattutto con i principi generali dell’ordinamento secondo cui occorre che tutti – compreso lo Stato e comprese le istituzioni pur durante una emergenza sanitaria – si agisca sempre seguendo i tre fondamentali precetti dell’honeste vivere, del neminem laedere e del suum cuique tribuere. Il ragionamento della Corte viola l’honeste vivere perché legittima la possibilità che lo Stato leda ope legis la fiducia che il cittadino gli accorda durante una campagna vaccinale; viola il neminem laedere perché consente il sacrificio del diritto alla salute del singolo se da ciò la collettività ne trae un vantaggio; viola il suum cuique tribuere perché nonostante la prospettazione dell’indennizzabilità del danno subito non riconosce, anzi palesemente disconosce il fondamento giuridico intangibile del diritto fondamentale coinvolto che il singolo attende di veder tutelato.

In quarto luogo: enormi dubbi sorgono sulla correttezza della decisione della Corte anche in riferimento alle risultanze della scienza a cui la stessa Corte si appella. La questione sarebbe lunga e complessa e si potrebbero citare innumerevoli studi che dimostrano non soltanto l’inefficacia del vaccino nel prevenire il contagio oltre a quelli che attestano anche i danni gravi e non remoti, ma frequentissimi che i vaccini stanno causando, ma, tralasciando la lunga sequela di studi, su tutto sia sufficiente ricordare che già nell’autunno del 2022, cioè prima della decisione della Corte costituzionale, la stessa Pfizer aveva candidamente e pubblicamente ammesso che il suo vaccino non preveniva il contagio.

Infine: occorre chiedersi e che la stessa Corte costituzionale si chieda – se è in grado, se cioè ha sviluppato una sensibilità umana e giuridica sufficientemente adeguata per interrogarsi in tal senso – se il beneficio della collettività possa essere ottenuto con il sacrificio anche di un solo essere umano che di essa è parte. In tale direzione, più che delle aporie e delle contraddizioni di cui si è servita, la Corte costituzionale meglio avrebbe fatto se avesse posto mente e memoria agli insegnamenti di Dostoevskij nel celebre dialogo dei fratelli Karamazov tra Alëša e Ivan, in cui viene ben spiegato che il bene dei molti non si può costruire, né eticamente, né quindi giuridicamente, sul sacrificio dei pochi, neanche se si trattasse di uno solo: “Ti sfido, rispondimi: immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?”.

Aggiornato il 20 febbraio 2023 alle ore 10:47