La plebeizzazione della politica

Uno degli effetti diretti – non semplicemente “collaterali” – della triste entrata del populismo in politica è stato nel tempo il processo di plebeizzazione della stessa. Una conseguenza logica, che sembra ormai irreversibile: va al Governo, mettiamo la sinistra, con slogan e programmi che vellicano la pancia, per l’appunto della plebe, e a livello elettorale la cosa funziona.

Poi, ovviamente, la propaganda si scontra con la realtà ed è sempre la seconda a prevalere, anche perché nell’Unione europea esistono leggi e vincoli che non tengono conto di questo bullismo elettorale. Ancorché bipartisan. Così la sinistra al potere si trova in grave imbarazzo. Da una parte, nel dover tenere a freno i propri elettori, che si aspettavano altro una volta al Governo. E, dall’altra, a fronteggiare il populismo montante della destra, che già assapora il cambio al vertice.

Passa il tempo. E dopo un Governo di sinistra ne arriva uno di destra, che usando la stessa tattica politica, uguale e contraria della sinistra, per attrarre la plebe al voto, vince a propria volta. E così tendenzialmente all’infinito. Troppo sforzo tentare di educare gli elettori a votare ciò che è meglio per loro. Meglio vendere loro dei sogni. Anche se poi si trasformeranno in incubi già nel breve-medio periodo.

Da 30 anni a oggi – dopo la tragedia e la farsa di “Mani pulite” che ha distrutto una classe dirigente senza che ne fosse pronta un’altra per sostituirla – l’involuzione preoccupante della democrazia italiana procede secondo questa falsariga.

Il populismo rappresenta un’arma politica per vincere le elezioni, anche se poi governare è un altro paio di maniche. È la “plebeizzazione” della politica – che include l’odio verso il merito e le cosiddette “elite” – l’attuale stato delle cose che fa precipitare una democrazia dalla serie A dei sistemi politici accettabili nella serie B delle “democrature”, di cui l’Europa comincia ad avere fin troppi esempi.

Aggiornato il 14 marzo 2023 alle ore 10:00