La maledizione di nascere terrone

Nato terrone, orgogliosamente da terra terronissima, la più terrona che terrona non si può, come è la Sicilia che nel κόσμος greco affonda radici e nel Χάος siculo affonda e basta.

E quindi aduso alle maledizioni, come quelle che colpirono i Labdacidi, quelli di Laio o Edipo e famiglia, per capirci, in scena a Siracusa a cui tutti assistiamo senza nulla imparare, o quelle legate alle conquiste secolari che sempre depredarono la Trinacria: insomma, quel triangolo maledetto di terra secca in mezzo ad un oceanico e benedetto lago di popoli che tutto sanno, tutto fanno, tutto possono, tranne quando approdano a Naxos o a Marsala.

Nascere siciliano, e catanese soprattutto, è una maledizione, perché ti scopri prigioniero tra mare e montagna; non puoi andar via per le correnti di risacca che, come i secondini un evaso di cella, a riva ti riportano a forza, e non puoi arrampicarti per scavallare catene montuose, perché di montagna una ce n’è, e le sue colate laviche scendono tutte a valle dove tu seduto stai, in silenzio tra caldo e sete, tra filosofia e inazione, tra anti-mafia e mafia, tra genio e scelleratezza.

Siciliano certo, d’un olimpo di geni, perché alla tua destra siedono Empedocle, Verga, Pirandello, Quasimodo, Sciascia e Bufalino, e alla tua sinistra Caronda, Archimede, Diodoro e Maiorana, ma maledetto ciò nondimeno. Maledetto ugualmente, dunque, perché l’olimpo che in alto sfavilla s’offusca in basso tra i fumi degli incendi dolosi e l’anima s’attossica per le esalazioni pestifere della corruzione, della inettitudine di tutta la classe politica e amministrativa d’ogni grado, orientamento e partito, dell’ombra d’un esercito di guardie forestali – quante chissà? forse più degli stessi alberi da vigilare, gli stessi alberi che infine s’inceneriscono! –, del pubblico impiego regionale innumerevole quanto la sabbia di Mondello, ma altrettanto inerte, così che la luce dell’ingegno di quelli non filtra e l’anima resta morta nella tenebra dell’arroganza e della brutalità di questi.

Maledetto siciliano e catanese sono or dunque, d’una maledizione rara, quella che catulliana ti fa amare e odiare quello che potrebbe essere il soglio del paradiso, ma che invece è soltanto uno scoglio nel Mediterraneo.

Maledizione di Sicilia: in questa non si può vivere, ma senza se ne muore; in terra sicula manca il fiato per la sua bellezza naturale, ma si soffoca per la sua bruttezza artificiale a causa di ciò che i siciliani fanno e disfanno.

Non si può scappare per aria, perché senza un aeroporto, o anche senza due o tre – ce ne fossero mille, duemila sarebbero inoperanti! – l’isola si trasforma in confino, in esilio, in colonia psichiatrica di massa a cielo aperto.

Di ponti, soprattutto uno e uno soltanto che dia la via di fuga o la via del ritorno, non ce ne sono perché i delfini di Messina sono maledettissimi anch’essi e diversamente da quelli americani, giapponesi o cinesi si confonderebbero con un’ombra proiettata in mare; e per terra non si può, appunto perché isola è e isolata deve rimanere. Amen!

Maledetto da maledizione antica e sempre nuova che trabocca dalle mani di può fare e non fa, di chi sa fare bene, ma sceglie di fare male, di chi potrebbe fare tanto e preferisce fare poco, maledetto, dunque, da maledizione che blocca, scoraggia, demolisce idee, sogni e speranze di chi le difende con il martirio come un Livatino o un Borsellino o di chi le immagina rassegnato con l’arrendevole e aristocratica amarezza distaccata d’un Gattopardo.

Maledetto d’una maledizione fortissima e profonda, che sprofonda nell’omertà mafiosa ogni speranza di umanità, ma che annega nelle maglie d’una legalità grottesca e senza giustizia e razionalità, tanto da lasciar la Sicilia e i siciliani in mano alla sorte, o peggio, in mano a se stessi.

E in una estate senz’acqua – anche se in un’isola circondata dal mare ha piovuto ininterrottamente dall’1 maggio al 30 giugno –, senza luce – anche se ci sono migliaia, milioni, miliardi, fantastiliardi di ettari coltivati a pannelli solari e campi eolici –, senza mezzi di fuga – anche se una stampante presunta piromane è stata assolta, forse sarà stato un fax mitomane a far da sé a Fontanarossa! –, come in un gigantesco supplizio di Tantalo, come, appunto, una maledizione, per espiar la colpa d’esser nato siciliano con l’aggravante d’essere anche catanese, devo restare ostaggio della più bella e della più terribile terra del mondo, senza poterne afferrare lo splendore, dovendone subire la lucida follia e senza poterne fuggire via.

Aggiornato il 07 agosto 2023 alle ore 09:27