Regionali: Giorgia e Matteo fate i buoni, se potete

Ragazzi, così non va. D’accordo, è fisiologico che vi sia tensione tra i partiti quando c’è da scegliere i candidati di coalizione per le Amministrative. Tuttavia, la misura del contrasto deve essere contenuta per evitare scossoni all’alleanza. La puntualizzazione è opportuna perché quello a cui stiamo assistendo non ci piace per niente. Sul tavolo ci sono le candidature del centrodestra alle presidenze di cinque regioni che a breve andranno alle urne (Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria). Si comincia dalla Sardegna, dove si voterà il prossimo 25 febbraio. E proprio in Sardegna sorgono i problemi. L’uscente è Christian Solinas del Partito sardo d’Azione – alleato organico della Lega – che vuole riproporsi per un secondo mandato. Fratelli d’Italia si è messa di traverso lanciando il “suo” Paolo Truzzu, odierno sindaco di Cagliari. Tra una forzatura di decibel e l’altra si è giunti a un passo dal punto-di-non-ritorno con il concreto rischio di presentarsi spaccati all’appuntamento con le urne. Il fatto sarebbe catastrofico per la tenuta della coalizione. Una rottura sul fronte sardo avrebbe come effetto la messa in discussione di tutte le candidature da condividere, non solo nelle altre regioni ma anche nei sei capoluoghi di regione (Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza) dove nel 2024 si voterà per rinnovare le amministrazioni comunali. Dietro quello che può sembrare uno scontro di personalità tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni si cela un conflitto di merito e di metodo.

Da un lato, la Lega, che ha due presidenti (Sardegna e Umbria) dei cinque a fine mandato, chiede che venga rispettato il principio della ricandidatura degli amministratori quando nella consiliatura precedente hanno ben operato. Dall’altro lato, Fratelli d’Italia, che ha un solo uscente (Abruzzo) su cinque, esige il rispetto della regola aurea che ha tenuto unito il centrodestra per trent’anni: il partito che ha ottenuto più voti alle ultime elezioni svolte e che è avanti nei sondaggi ha la facoltà di esprimere il maggior numero di candidati alla guida delle coalizioni territoriali. Hanno ragione entrambi. Ma ciò non basta a dirimere il contrasto. Occorre che una sintesi venga trovata. Sebbene la Meloni abbia tutto il diritto di rivendicare per il suo partito maggiori spazi istituzionali, è pur vero che, quale titolare della leadership del centrodestra, ha il dovere di assumere una visione più inclusiva e meno partigiana nella gestione dei rapporti con gli alleati. Al riguardo, la “generosità” dimostrata da Silvio Berlusconi nel dare agibilità politica ai partner quando era lui il dominus del centrodestra avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Tant’è che l’altra regola non scritta per la tenuta delle coalizioni recita: l’asso-pigliatutto in politica non fa molta strada. Non vorremmo che la Meloni, vittima della sindrome della super–girl, lo avesse dimenticato. Sulla vicenda sarda, poi, s’innesta un problema nel problema. Il governatore uscente Solinas non è un nativo della Lega. Lui è l’espressione di un movimento autonomista – il Partito sardo d’Azione – fondato e sviluppatosi negli anni sulla filosofia del sardismo. Tale specificità, dal punto di vista dei consensi, ha costituito un fattore determinante nel consolidamento della logica del bipolarismo. Lo prova il fatto che, quando alle regionali del 2009 il PSd’Az, guidato da Efisio Trincas, si è presentato in apparentamento con il candidato di centrodestra Ugo Cappellacci, quest’ultimo ha conquistato la presidenza della regione.

La stessa cosa è accaduta nel 2019. La candidatura alla presidenza di Solinas è risultata vincente grazie alla tenuta della coalizione di centrodestra che ha beneficiato, nella circostanza, dell’apporto del 9,86 per cento dei voti conquistati dagli azionisti sardi. Consensi che sono risultati fondamentali per l’affermazione, sempre nel 2019, del “meloniano” Paolo Truzzu alle comunali di Cagliari. In quella circostanza, mentre Fratelli d’Italia concorreva all’elezione a sindaco del suo rappresentante per l’11,7 per cento dei consensi, il PSd’Az vi contribuiva con il 9,6 per cento dei voti. Ora, pensare di sostituire Solinas suona agli occhi dell’opinione pubblica sarda come una bocciatura del suo operato. Giudizio che i sostenitori del governatore uscente difficilmente saranno disposti ad accettare riversando il proprio voto sul candidato imposto da Roma. A maggior ragione per il fatto che Solinas può vantare, a suo merito, il dato della crescita del Pil in Sardegna, terza nella classifica italiana per aumento del reddito pro-capite su base regionale. Inoltre, Solinas ha incassato la fiducia dell’agenzia di valutazione internazionale del credito Fitch, che lo scorso 23 settembre ha assegnato alla Sardegna un rating (BBB+ /Outlook positivo in evoluzione) migliore di quello dato all’Italia nel suo complesso (“BBB” con un outlook stabile).

Come se ne esce? Riteniamo che la questione sia stata affrontata dal verso sbagliato. Non la si risolve facendo a braccio di ferro tra i leader per ottenere in premio la possibilità di piazzare quante più figurine nel risiko delle poltrone presidenziali in ballo. La quadra può essere trovata nella composizione delle giunte chiamate ad affiancare i governatori eletti. È lì che Fratelli d’Italia può far valere il maggior peso elettorale. Ma anche ai governatori deve essere chiesto uno sforzo supplementare per favorire l’armonizzazione dei rapporti all’interno della coalizione. Occorre una scoloritura del candidato presidente eletto. Costui, avendo ricevuto il voto degli elettori di tutti i partiti della coalizione, non può considerarsi espressione di una parte ma di tutte le parti indistintamente. E come tale deve comportarsi. Vale anche per Giorgia Meloni. Da presidente del Consiglio, retta e votata da una coalizione della quale ha la leadership, deve essere e, soprattutto, sentirsi un po’ leghista e un po’ forzista e non soltanto il capo indiscusso di Fratelli d’Italia. Se si riuscirà a far prevalere il giusto spirito di squadra in un clima di reale unità tutto andrà per il meglio e il centrodestra potrà tranquillamente programmare la sua permanenza alla guida della nazione e della maggior parte delle articolazioni territoriali per i prossimi decenni. Al contrario, se la minuta logica di fazione dovesse avere la meglio sull’ampio orizzonte prospettico della coalizione, il futuro per il centrodestra si complicherebbe enormemente.

Aggiornato il 15 gennaio 2024 alle ore 09:39