Ma dove sta andando Ron Paul?

Il libertario Ron Paul è l’unico candidato repubblicano alternativo a Mitt Romney che non demorde. Vuole a tutti i costi arrivare alla Convention repubblicana nazionale di Tampa (che si terrà alla fine del mese), con la sua pattuglia di delegati ed opporsi all’investitura ufficiale dell’aspirante presidente. Fin dove vuole spingersi?

Benché abbia vinto poco o nulla nelle elezioni primarie, ha comunque raccolto attorno a sé una pattuglia di delegati agguerritissimi. E allora inizia la battaglia. Prima di tutto legale, sui regolamenti. I sostenitori di Paul hanno denunciato la Convention di aver favorito il candidato mormone, con metodi illeciti e “intimidazioni”. La Convention nazionale ha risposto denunciando a sua volta gli uomini di Paul. Lo scontro riguarda soprattutto i 21 delegati (su 24) del candidato libertario eletti nel Maine. Secondo il Partito Repubblicano sarebbero stati selezionati in modo irregolare, dopo aver falsato il complesso processo elettorale per caucus nel piccolo stato del Nord.

La Convention aveva proposto una soluzione di compromesso, ponendo tre (dure) condizioni: 20 delegati “paulisti” del Maine avrebbero potuto partecipare e le accuse nei loro confronti sarebbero state messe da parte, ma, in cambio, avrebbero anche dovuto votare per Mitt Romney, nel caso il nome del loro candidato fosse stato assente nel ballottaggio, non avrebbero potuto parlare a nome del Maine, non avrebbero potuto pronunciare discorsi esplicitamente contrari a Mitt Romney o favorevoli a Barack Obama. La delegazione del dottor Paul, giovedì, ha respinto queste condizioni. Brent Tweed, che ne fa parte, ha risposto con un comunicato che: «È irragionevole per il Partito Repubblicano, sia a livello nazionale che statale, o per qualsiasi campagna presidenziale, fare pressioni sulla delegazione del Maine per obbligarla a votare qualcuno in particolare. Noi non ci faremo intimidire, non firmeremo alcun accordo politico sotto la minaccia di essere espulsi. Siamo responsabili di fronte agli elettori repubblicani del Maine, non di fronte alla campagna di Mitt Romney».

Lo scontro, inoltre, non riguarda solo la presenza o meno dei delegati del Maine. Ma quella dello stesso Ron Paul. Martedì scorso è stato diffuso un primo elenco di oratori. Ci sarà sicuramente Rand Paul (figlio), ma non Ron (padre). La cosa non sorprende: anche alla C–Pac dello scorso febbraio, Rand Paul era fra gli oratori, ma suo padre no. La lista non è definitiva e non è ancora detto che, di qui a fine agosto, anche il nome di Ron Paul non venga inserito nell’elenco degli invitati. Ma è sempre più difficile che ciò avvenga, considerando l’inasprimento della battaglia legale in corso. Per il momento si sa solo che “il dottore” texano potrà prendere la parola solo nel pre–evento della Convention, la “Freedom of Speech Zone”. Una portavoce della campagna del candidato libertario, Jesse Benton, minimizza l’ostilità dei repubblicani: «Ci stanno trattando da amici e da alleati. Lavorando con noi si sono comportati da mediatori onesti e ci hanno mostrato rispetto». Altri libertari che (non ufficialmente) si sono spesi in prima persona per dare sostegno Ron Paul, come Lew Rockwell del Mises Institute, non hanno reagito alla notizia con altrettanto fair play: «Ron Paul è stato bandito dalla Convention fascista del Partito Repubblicano – ha scritto Rockwell sulla sua pagina Facebook – Anche se, sotto un certo aspetto, va considerata come un oltraggio (perché Paul è uno dei pochissimi non–sociopatici nella politica repubblicana) questa decisione ha un senso. Dopo tutto, gli sarebbe stato chiesto di osannare Romney nel suo discorso, con parole scritte dai servi di Mitt, qualcosa che Paul non avrebbe mai accettato di fare. Dopo tutto, Mitt Romney, un guerrafondaio, keynesiano, bankster (gangster bancario, ndr), nazionalista, proibizionista sul porto d’armi, sostenitore della sanità statale, un uomo che intende continuare a usare i droni, un torturatore, favorevole allo stato di polizia, è l’esatto opposto di Ron Paul. Romney, esplicitamente, vuole commettere un omicidio di massa in Iran, fra gli applausi del Grand Old Party. Diciamocelo chiaramente: Ron Paul è troppo buono per il Partito Repubblicano. E questa organizzazione criminale, sa che cosa serba in cuore». Giusto per rincarare la dose, sempre su Facebook, Rockwell ha dato una sua definizione del Partito Repubblicano: «È il partito di Lincoln. Dunque, è il partito della dittatura presidenziale, della guerra, dell’inflazione, del protezionismo, della pianificazione centrale, delle tasse sui redditi e sugli immobili, degli arresti segreti, dei processi segreti, delle prigioni segrete, delle esecuzioni segrete. Vi suona familiare? È anche il partito di Mitt Romney».

I due sfoghi di Lew Rockwell, a giudicare dai commenti in Internet, rappresentano un sentimento comune nel popolo di Ron Paul. E spiegano, più di ogni altra cosa, come mai il Partito Repubblicano si stia dando così tanto da fare per escludere quel popolo dalle sue file.

Il “dottore” si è presentato alle primarie del 2008 e di quest’anno con l’intento esplicito di lanciare un’Opa ostile al Partito. Molto più ostile rispetto a quella lanciata nel 2009 dal Tea Party. Quest’ultimo movimento ha tutta l’intenzione di sostituire la classe dirigente più statalista del Gop, ma è comunque costituito da conservatori che (salvo rari casi) non hanno alcun dubbio di votare contro Obama e a favore dei Repubblicani. Il popolo della “Ron Paul Revolution”, al contrario si è sempre posto, per tutta la campagna elettorale, nella posizione di radicale alternativa ad entrambi i grandi partiti americani. Non ha mai pensato di porre in cima alla sua agenda la sconfitta di Obama. Vuole promuovere le idee, rivoluzionarie, di una drastica riduzione del governo federale in tutti i suoi campi. Paul e il suo popolo libertario, usano il Partito Repubblicano come veicolo (solo perché negli Usa non c’è chance per un terzo partito), ma non si sono mai sentiti parte di esso. Durante la C–Pac del 2011 i sostenitori di Paul non hanno esitato a fischiare Cheney e Rumsfeld, dando loro dei “criminali di guerra”, con la stessa veemenza dei pacifisti dell’ultra–sinistra. Non perdonano nulla alla storia della politica estera americana: condannano tutte le guerre di Washington, a partire dalla Guerra Civile (1861–65). Sono determinati a porre fine al monopolio della Federal Reserve, la banca centrale statunitense e non esitano ad accusare di frode e furto quei repubblicani che hanno gestito, o anche solo accettato, la politica economica durante le due amministrazioni di George W. Bush. E, in teoria, anche sotto tutte le amministrazioni precedenti. Per trovare qualche affinità fra il popolo “paulista” e il Partito Repubblicano bisogna andare molto indietro nel tempo. Almeno sino ai tempi di Calvin Coolidge: negli anni ‘20.

Il problema, per il popolo di Ron Paul, è nei numeri. Stando ai risultati delle primarie, costituiscono una minoranza esigua nell’elettorato repubblicano. I sostenitori di Paul mostrano altri sondaggi, secondo cui il “dottore” avrebbe avuto più chance di Romney in un eventuale duello contro Obama. Ma se non si vincono neppure le primarie, che senso ha sondare l’opinione nazionale su un duello che non ci sarà mai? Possono cercare di distinguersi e condurre una battaglia di lungo termine, per conquistare il cuore e le menti dei repubblicani o dell’elettorato americano di entrambi i partiti. Ma Ron Paul è anziano. La sua rivoluzione continuerebbe anche dopo un suo ritiro dalla scena politica? E qui entra in scena Rand Paul: è anch’egli prevalentemente un libertario (vuole uno Stato ridotto ai minimi termini, da quel che si deduce dalla sua proposta di budget federale), ma si muove entro il quadro della tradizione politica repubblicana, non sputa sul passato del Grand Old Party e non combatte battaglie ideologiche. Inutile dire che i libertari “hardcore” lo odiano. In centinaia di messaggi Internet, lo rinnegano, lo accusano di essere un “neoconservatore” (dunque: un “criminale di guerra”, dal loro punto di vista), lo considerano un falso libertario e soprattutto: indegno del padre. Eppure, considerando i rapporti di forza, Rand Paul sembrerebbe avere più chance del padre nel portare un po’ di libertarismo nel Gop e nella scena politica nazionale americana. Con una sua riforma interna, non con una rivoluzione che non c’è.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:19