Palestinesi e israeliani uniti contro Obama

George W. Bush era stato contestato per la sua politica mediorientale “sbilanciata” a favore di Israele. Obama è riuscito a riequilibrarla: appena il 10% degli israeliani esprime un giudizio positivo sul presidente statunitense e ieri, al suo arrivo in “Terra Santa”, anche i palestinesi organizzavano manifestazioni di protesta. Come ha fatto ad ottenere un record negativo di consensi in Israele? L’impennata di integralismo islamico fra i vicini dello Stato ebraico, fra cui i Fratelli Musulmani al potere in Egitto, è un prodotto diretto della politica di Barack Obama. Già nei primi mesi della sua presidenza, nel 2009, si preoccupò subito di recarsi al Cairo a tenere un ormai famoso discorso di riconciliazione fra Islam e Occidente. Ma non ci pensò neppure a compiere qualche decina di km più a Est per metter piede in Israele. Quello iniziato ieri è infatti il primo viaggio del presidente democratico in terra di Sion. Non ci era andato nemmeno durante la sua campagna elettorale del 2008, dove pure aveva viaggiato in lungo e in largo. Non ci ha neppure pensato in questa campagna elettorale.

In tutti e quattro gli anni del suo primo mandato presidenziale, pur avendo viaggiato più di una volta nella regione mediorientale (oltre all’Egitto, si è recato in visita ufficiale anche in Iraq, Turchia, Arabia Saudita), non ha mai pensato di parlare a quattr’occhi, a Gerusalemme, con quello che ha sempre definito come un “alleato di ferro” degli Stati Uniti. In compenso sono state molto numerose le visite di Benjamin Netanyahu a Washington. Accolto sempre in modo glaciale (a dir poco) dall’inquilino della Casa Bianca. Nel marzo del 2010, il premier dello Stato ebraico dovette fare anticamera per più di un’ora, mentre Obama si allontanava per la pausa pranzo. Un anno dopo, i due si incontrarono a porte chiuse e non rilasciarono neppure un comunicato congiunto alla stampa. I loro volti formalmente sorridenti, rivelavano una tensione di fondo che era difficile da nascondere. Nel 2012, quando Netanyahu si è recato all’Onu in occasione dell’Assemblea Generale, Obama non l’ha neppure ricevuto. Quello fra il presidente democratico e il premier conservatore è un rapporto fondato sull’incomunicabilità e l’incomprensione, sia ideologica che pratica. All’atto pratico, infatti, Obama ha chiesto a Netanyahu di rinunciare alla convinzione che Gerusalemme sia una città indivisibile e capitale di Israele.

Gli attriti di questi anni sono causati proprio dalla costruzione di nuove case per ebrei a Gerusalemme Est, che Netanyahu considera parte integrante della capitale, mentre per Obama è territorio conteso, cedibile ad un futuro Stato palestinese. Per il presidente democratico, Israele deve “fare concessioni”, “fare un passo indietro”, magari fino ai confini del 1967, come disse (subito ripreso in pubblico da Netanyahu) nel 2011. Obama tradisce la visione del conflitto mediorientale tipica degli accademici e dei think tank progressisti: la tensione nella regione è causata dalla cosiddetta “intransigenza” dello Stato ebraico. Terrorismo, guerre e fondamentalisti sono la conseguenza e non la causa della guerra, secondo questa visione del Medio Oriente. Dal punto di vista di Netanyahu (come di Bush, a suo tempo) questo paradigma deve essere rovesciato. La Giordania è la dimostrazione che Israele e un vicino arabo possono coesistere in pace anche nel lungo periodo.

La presenza di una popolazione araba in Israele, pari al 20% dei cittadini, è la dimostrazione che l’origine del conflitto non è una “repressione israeliana”: gli arabi, nello Stato ebraico, godono di tutti i diritti dei loro concittadini. È l’ideologia (pan-arabista prima e islamista poi) che fomenta il conflitto contro Israele, perché mira alla cancellazione dello Stato ebraico dalla mappa del Medio Oriente. Ma è proprio con arabisti (buoni rapporti con la Siria fino al 2011) e islamisti (in Egitto) che Obama preferisce dialogare Ma perché, allora, il presidente degli Stati Uniti non è amato neppure dai palestinesi? Perché, alla prova dei fatti, nel nome dell’interesse nazionale, ha sempre sostenuto militarmente Israele. La sua amministrazione ha fornito allo Stato ebraico armi, tecnologia e sostegno diplomatico. Il sistema anti-missile a corto raggio Iron Dome, protagonista dell’ultima guerra con Hamas, è frutto della cooperazione israelo- statunitense. Il nuovo sistema anti-missile a lungo raggio Arrow3 (che potrebbe essere di fondamentale importanza in un’eventuale guerra con l’Iran) è anch’esso un progetto israelo-americano. In campo diplomatico, gli Usa hanno sempre votato, all’Onu, al fianco di Israele. Alla fine, i palestinesi considerano Obama come un nemico, esattamente come tutti i presidenti statunitensi che lo hanno preceduto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:59