Russia, il terrore contro il terrorismo

Punizione esemplare per i terroristi e per tutti i loro parenti. Questo è il succo della nuova legge anti-terrorismo che la Duma (Camera) russa sta discutendo e vuole introdurre prima delle prossime Olimpiadi di Sochi 2014. L’ispiratore della legge è ovviamente il presidente Vladimir Putin, ma il senso d’urgenza e di durezza è condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica, impressionata dall’attentato a Volgograd, che ha ucciso sei civili e ne ha feriti trenta, mentre viaggiavano su un autobus. La bomba della terrorista suicida di Volgograd potrebbe essere solo un piccolo antipasto di quel che si potrebbe scatenare durante i giochi olimpici.

E quindi: pugno di ferro. Le nuove norme e i nuovi metodi polizieschi avranno un impatto devastante soprattutto nelle regioni ribelli del Daghestan e dell’Inguscezia, epicentri del movimento jihadista caucasico e terribilmente vicini ai siti olimpionici. Gli oppositori russi e le organizzazioni per i diritti umani si sono subito mobilitati, denunciando il carattere stalinista della nuova norma. Era Stalin (e Lenin prima di lui) che puniva i parenti dei dissidenti e presunti tali. Era sempre Stalin che, per reprimere insurrezioni e dissenso, colpiva interi popoli.

Gli ucraini lo ricordano bene: più di 5 milioni di vittime nella carestia artificiale indotta dai sovietici, che fra il 1932 e il 1933 bruciarono i campi, depredarono le fattorie e chiusero villaggi interi entro lande desolate, lasciandoli morire di fame. Lo ricordano gli estoni, i lettoni, i lituani, i ceceni, i tedeschi del Volga, collettivamente accusati di essere complici dei nazisti e deportati a milioni durante la Seconda guerra mondiale.

La legge attuale non prevede nulla di simile: riguarda i terroristi e i loro parenti, ritenuti colpevoli di averli incoraggiati e sostenuti. Ma dalla famiglia al clan, nel Nord del Caucaso, il passo è breve. E i clan sono talmente estesi che possono popolare interi villaggi, o anche intere regioni. Quindi l’idea di una deportazione di massa prossima ventura non è solo paranoia. Purtroppo, però, la legge anti-terrorismo così concepita è frutto di un fallimento e di un esperimento riuscito.

Il fallimento è quello della politica dell’ex presidente Medvedev, che mirava alla riconciliazione del Caucaso del Nord. Commissioni per dialogare e reinserire i ribelli nel tessuto sociale, tolleranza religiosa e costosissimi piani di rilancio economico di quelle aree non hanno ridotto il terrorismo, come dimostrano le continue guerriglie in Inguscezia e Daghestan e l’ultimo attentato di Volgograd. Una politica fondata sugli incentivi, soprattutto economici, non ha smorzato la carica rivoluzionaria e ideologica degli jihadisti, forti dell’appoggio dell’Arabia Saudita e di moschee radicali sparse in tutto il mondo musulmano.

Dall’altra parte c’è l’esperimento riuscito (pur con costi umani orribili) della Cecenia. L’unica regione caucasica pacificata è governata col pugno di ferro da un islamico radicale fedele a Putin, Ramzan Khadirov. Accusato di ogni tipo di crimine di guerra, sospettato di essere il mandante dell’omicidio Politkovskaja, intollerante, spietato, è però riuscito a far tornare la pace (del cimitero) dopo quasi un ventennio di conflitto. Il suo metodo: estendere la punizione collettiva anche a tutti i familiari dei terroristi e degli oppositori. Le autorità russe, dunque, non stanno facendo altro che applicare il “metodo Khadirov” su scala nazionale. È un esperimento pericoloso, che può deragliare facilmente nel totalitarismo.

Ma si può combattere altrimenti lo jihadismo? Per evitare bagni di sangue gratuiti ed eccessivamente crudeli, i russi possono anche prendere ad esempio Israele, che nel culmine dell’Intifada, per rispondere alle bombe negli autobus, radeva al suolo le case dei kamikaze, colpendo così alla gola anche le loro famiglie. Il sostegno familiare, d’altronde, è alla base del terrorismo. Le mamme insegnano ai figli a farsi esplodere per trascinare con sé più infedeli possibili. Prima di tutto per un obiettivo ultra-terreno: il Paradiso musulmano per gli eroi della jihad. Ma poi anche perché sanno di avere una rete di sostegno economico che premia il terrorismo: il loro clan, i donatori facoltosi del Golfo, movimenti come Hezbollah e Hamas, leader come Arafat, dittatori come Saddam Hussein, hanno sempre regalato soldi e assistenza alle famiglie dei “martiri”. Di fronte a questo sistema non c’è contro-incentivo che tenga. Solo il terrore di una punizione collettiva può contrastare il terrorismo.

Come sempre, però, quando si usa un virus per combattere un altro virus, si entra in un campo minato. Si rischia di morire moralmente e politicamente, se si perde il controllo. La Duma e Putin dovranno adottare il massimo della cautela possibile. La Russia è a un bivio: con questa legge può sconfiggere lo jihadismo, o tornare stalinista.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:17