Ucraina: la partita delle “Terre Rare”

Quando la polvere della retorica propagandistica si posa al suolo, appare più chiaro lo scenario che fa da sfondo all’Opa (offerta pubblica d’acquisto) che la Germania, attraverso il brand “Ue”, ha lanciato per guadagnare l’Ucraina alla causa occidentale. Nel contempo, è possibile intravedere anche il coacervo di interessi economici e strategici che, al contrario, spingono Mosca a contrastare il progetto di annessione dell’ex Repubblica sovietica all’Unione Europea.

In effetti, della preoccupazione di Mosca per la tenuta delle posizioni strategiche rilevanti, in particolare in Crimea, si è ampiamente raccontato in questi giorni per cui non è il caso di ritornarvi. Aggiungiamo soltanto che, oltre la Crimea, nelle altre regioni meridionali e dell’Est, a maggioranza russofona, si concentra l’insieme del sistema produttivo ucraino che ha come principale mercato di sbocco proprio la Madre Russia. Si tratta della cantieristica navale che serve anche la Flotta del Mar Nero, con la sua propaggine mediterranea di stanza nella base navale di Tartus in Siria. Inoltre, sono presenti impianti per la produzione di componenti meccaniche e motoristiche.

L’Ucraina è considerata il granaio del mondo. Con la particolare fertilità della sua terra è il quinto esportatore globale. La produzione di frumento rappresenta il 3,26% di quella mondiale. Lo stock del prodotto agricolo destinato all’esportazione passa, per la quasi totalità, dai due porti d’imbarco di Sebastopoli, in Crimea, e della vicina Odessa. Una separazione delle aree portuali dal territorio nazionale ucraino porrebbe seri problemi al comparto trainante dell’economia di quel Paese.

Ma vi è un altro settore produttivo nel quale l’Ucraina può dire la sua. Si tratta di quello minerario. Oltre le decine di siti dove sono presenti minerali tradizionali, sul territorio ucraino sono stati censiti ben cinque giacimenti di terre rare, di cui uno, quello di Azovske, in Crimea mentre gli altri si collocano tra la parte est del Paese e quella centrale. Ora, noi pensiamo che la tanta premura che la cordata europea, guidata dalla Germania, stia riservando alle sorti ucraine sia in qualche misura collegabile proprio alla presenza di questi particolarissimi siti minerari. Perché? Semplicemente perché le cosiddette terre rare sono merce preziosissima di questi tempi. Le industrie hi-tech ne hanno un grandissimo bisogno.

Ma facciamo un passo indietro. Con il termine “terre rare” è classificato un insieme di 17 elementi della “tavola periodica”: Scandio, Ittrio oltre 15 lantanoidi (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio). La denominazione che li raggruppa non si riferisce alla presunta rarità di questi elementi, che pure sono effettivamente rari, ma solo al fatto che, scoperti più tardi, sono di difficile identificazione. Sono di tre differenti tipi: terre rare leggere (dal Lantanio al Promezio), medie (dal Samario all’Olmio) e pesanti (dall’Erbio al Lutezio). Queste ultime sono le più ricercate.

A cosa servono? Esse trovano impiego nei superconduttori, nelle turbine della pale eoliche, nei magneti permanenti, nei catalizzatori come le marmitte catalitiche delle automobili, nelle auto ibride, nei laser, nelle fibre ottiche, negli apparati a microonde, nelle lampade a basso consumo e in quelle ad arco, nelle saldature ad alte temperature, negli schermi led dei televisori, nei telefonini, nei tablet, nei lettori di cd, negli hard-disk dei computer, nella costruzione di vetri speciali, in molti apparati militari quali visori notturni e missili. In poche parole, servono la nuova frontiera dell’industria tecnologica avanzata e quella del green economy. La loro estrazione dal sottuosuolo è cosa difficilissima e altamente pericolosa. Si pensi che ogni tonnellata di terre rare produce in scorie 75 metri cubi di acque acide e radioattive. Gli addetti che vi lavorano sono a rischio elevato di malattie tumorali quali la leucemia. Delle terre rare si potrebbe dire che incarnano il paradosso dei nostri tempi: servono l’economia verde inquinando l’ambiente e nuocendo alla salute.

La complessità e la pericolosità dei sistemi estrattivi hanno indotto l’Unione Europea, da tempo, a rinunciare a questo tipo di produzione sul proprio territorio. Attualmente è la Cina il massimo produttore che detiene circa il 95% del commercio mondiale di terre rare, ne estrae l’85% e possiede il 23% delle riserve globali. L’attuale valore complessivo di mercato è stimato intorno ai 5 miliardi di dollari, ma il trend è in crescita verticale visto che la Cina, monopolista del settore, ha iniziato una politica di razionamento delle forniture ai danni delle altre economie, in particolare di quella giapponese e di quella americana, attraverso il taglio secco della produzione.

La contrazione dell’offerta rispetto all’incremento della domanda ha fatto sì che i prezzi s’impennassero, negli ultimi tempi, con una media di maggiorazione rilevata tra +300 e +700% rispetto alla precedente quotazione di mercato. I Paesi strangolati stanno cercando di correre ai ripari attivando siti sul proprio territorio, come nel caso degli Usa, o, come nel caso del Giappone, chiudendo accordi e joint venture con Paesi come l’India e il Vietnam che posseggono questi minerali ma non hanno l’adeguata tecnologia per estrarli.

L’Europa, in questa gara a cercare alternative al ricatto cinese, dopo aver tentato la strada del riciclo dei minerali estratti dalle apparecchiature dismesse o rottamate, mostra di essere in ritardo. Solo recentemente sono stati individuati giacimenti in Groenlandia. Il problema è che giungere a regime in quell’area richiede ingenti investimenti e un tempo di attesa di almeno quindici anni. Ecco allora che si offre l’opportunità ucraina, pronta e servita a un tiro di schioppo. Ora, come diceva quel bizzarro conduttore televisivo: fatevi la domanda e datevi la risposta. Una partita così ghiotta, che significherebbe accaparrarsi fonti di approvigionamento di materie prime, indispensabili per le manifatture continentali a cominciare da quella tedesca, vale il tentativo europeo di mettere le mani sull’Ucraina? A modo di vedere dei nostri partner si direbbe che Parigi valga sempre una messa.

La cautela mostrata dalla Germania verso i vertici di Mosca e la richiesta insistente di procedere a una soluzione della crisi per via negoziale, hanno come unico scopo quello di sfilare all’influenza russa l’intera Ucraina. Una parte, solo quella occidentale, alla Germania non servirebbe, visto che il grosso dei siti minerari è collocato nelle altre zone del Paese. Tutto vorrebbero a Berlino fuorché trovarsi, alla fine della fiera, con uno scatolone di terra che non ha più sbocchi al mare, che ha un debito stellare sul groppone ed è percorso da spiriti ultranazionalisti antidemocratici e antisemiti. Quindi l’offerta vale per l’intero stock. O si prende tutto, mettendo sul piatto, in contropartita, una barcata di miliardi di euro, o si molla tutto. La mezza misura, che tanto piacerebbe al Cremlino, di spacchettare il territorio e di spartirselo in due macro zone separate, ai tedeschi sa tanto di fregatura.

Ma non è tutto. Nella partita è entrata prepotentemente anche l’amministrazione Usa. I suoi interessi non sono direttamente economici, piuttosto riguardano gli assetti strategici. Piacerebbe da impazzire ai cervelloni di Washington un finale nel quale la Crimea fosse ricondotta sotto il controllo di una Kiev affidata a un governo filooccidentale, ultranazionalista e soprattutto anti-russo. Significherebbe mettere sotto schiaffo la forza navale della Federazione, condizionandone pesantemente gli spazi di agibilità operativa.

Per gli Usa, ricorrendo a una metafora calcistica, sarebbe come fare 3-0 a tavolino contro l’odiato nemico, senza neppure scomodarsi a disporre la squadra in campo. Sarebbe un po’ come quella pubblicità che dice: ti piace vincere facile? Ma coltivare questo genere di aspettative è come affidarsi al Superenalotto per risolvere i problemi del quotidiano ménage: è un’illusione.

Che fa, mister Obama, ci prova anche lei col “gratta e vinci”?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52