Karachi, i talebani si sentono forti

Un attacco spettacolare, firmato dai talebani, nell’aeroporto internazionale di Karachi, crocevia commerciale e finanziario del Pakistan, davanti agli occhi di tutto il mondo: è difficile trascurare l’importanza dello scontro a fuoco avvenuto ieri all’alba. Un piccolo commando di 10 uomini, pesantemente armati, dotati (stando alle prime indagini) di finte divise della security e finti documenti di identità, si è infiltrato nel Fokker Gate, che conduce all’area commerciale e all’area Vip dell’aeroporto internazionale Jinnah, di Karachi.

Lo scontro a fuoco è iniziato da subito e la sicurezza è stata colta di sorpresa. Testimoni oculari riferiscono che gli spari provenissero dall’interno del terminal e fossero stati inizialmente scambiati per una faida fra due sindacati rivali (la concertazione è molto più violenta da quelle parti). Scoperta la natura terroristica dell’attacco, l’esercito è intervenuto con molta prontezza, sbarrando la strada ai terroristi e tenendoli lontani sia dagli aerei parcheggiati sulle piste, sia dal terminal passeggeri. E fortunatamente le forze regolari hanno agito con sufficiente tempismo per impedire sia un sequestro di un aereo, sia il sequestro di una gran massa di passeggeri. Era questo, a quanto pare, il vero obiettivo dei talebani, i quali si erano portati dietro numerosi razioni di cibo a lunga conservazione, anche per resistere ad un lungo assedio.

Dopo un’ora di scontro, alle 7 del mattino (ora locale) le autorità di Islamabad hanno dichiarato concluso il pericolo e liberato l’aeroporto internazionale. Nel frattempo, grandi esplosioni hanno provocato molti danni alle strutture: almeno tre terroristi sono riusciti ad azionare le loro cinture esplosive. Gli altri sette sono stati uccisi dai soldati pakistani. Oltre ai 10 talebani, sono morti nello scontro altri 18 pakistani, civili e militari, gran parte dei quali impiegati dell’aeroporto. Altre 24 persone sono state ricoverate.

Con 28 morti e 24 feriti, un’ora di battaglia e il traffico aereo internazionale su Karachi completamente paralizzato per tutta la mattinata, l’attacco talebano ha raggiunto, appunto, solo una parte dei suoi obiettivi. Il loro scopo era, con tutta evidenza, quello di conquistare l’aeroporto, catturare ostaggi, resistere a un lungo assedio, probabilmente anche dirottare un aereo di linea. Perché? Secondo la rivendicazione prontamente pubblicata da Tarek-i-Taliban Pakistan, la sezione pakistana del movimento armato talebano, si tratta di una vendetta per l’uccisione di uno dei loro leader da parte degli americani. Analisti locali interpretano questa azione come parte di una faida interna fra i talebani del Pakistan, che si sono divisi in almeno due fazioni, ciascuna delle quali vuole mostrare i muscoli con azioni spettacolari. Una prima interpretazione attribuiva l’azione alla volontà di vendetta contro la guerra che Pakistan sta facendo ai talebani nelle regioni tribali, al confine con l’Afghanistan. E infine non bisogna dimenticare che è in corso un difficile negoziato fra il governo Sharif (Pakistan) e i talebani, per indurne almeno una parte a rinunciare alla lotta armata. Come sempre, in queste circostanze, le ali oltranziste di un movimento terrorista (che è già il più “oltranzista” del mondo, per usare un eufemismo) colpiscono chi tende loro la mano.

Ma un attacco simile non sarebbe stato pensabile, se non vi fossero stati chiari segnali di debolezza, sia da parte del Pakistan (che accetta il negoziato) che, soprattutto, da parte degli Stati Uniti, da cui il Pakistan dipende ancora in fatto di aiuti militari. Gli Usa hanno lanciato due messaggi in meno di una settimana: hanno annunciato l’accelerazione del loro ritiro dall’Afghanistan, senza neppure aspettare l’esito delle elezioni presidenziali; e hanno accettato il primo scambio di prigionieri con i talebani, liberandone cinque in cambio della restituzione di Bowe Bergdahl, il militare statunitense in mani nemiche dal 2009. Lo scambio di prigionieri, in particolar modo, è stato salutato dal Mullah Omar (proprio lui: l’ex protettore di Osama Bin Laden, complice dell’11 settembre) come una delle più grandi vittorie della guerra in Afghanistan. È chiaro che i talebani alzino il tiro dopo questi successi, sottovalutati o sconosciuti in Occidente, ma già molto propagandati negli ambienti jihadisti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52