Stampa: in Egitto   una libertà negata

Con l’accusa di aver diffuso notizie false e lesive dell’immagine del Paese ed aver offerto sostegno ad un’organizzazione terroristica, tre reporter di Al Jaazera, detenuti dal 29 dicembre 2013, sono stati condannati alla reclusione…

È accaduto in Egitto, il 23 giugno scorso, dove una corte del Cairo ha condannato i tre giornalisti della televisione con sede nell’emirato ad una pena detentiva tra i 7 e i 10 anni per accuse previste dalla legge antiterrorismo. Una decisione che ha destato lo sgomento e la rabbia internazionale. Amnesty International lo ha giustamente definito “un feroce attacco alla libertà di stampa”.

Inutile dire che Al Jaazera abbia ribadito l’innocenza dei suoi cronisti e che molti osservatori indipendenti ritengono che stessero semplicemente svolgendo il loro lavoro quando sono stati prelevati e sbattuti in cella. Si tratta di Peter Greste, ex Bbc, Mohamed Fadel Fahmy, capo dell’ufficio del Cairo di Al Jaazera con un passato alla Cnn e Baker Mohamed, producer egiziano.

Ma non è una sorte diversa da quella toccata a ben 211 giornalisti finiti dietro le sbarre nel 2013, stando ai dati del Committee to Protect Journalists. Metà dei quali accusati di terrorismo, ovvero favoreggiamento di movimenti terroristici o messa in “pericolo” della sicurezza dello Stato.

Ed il fatto che due dei tre siano rispettivamente un canadese ed un australiano mostra che ormai al Cairo le relazioni con l’Occidente non contino molto. L’Egitto sembra ormai votato ad una spirale di autoritarismo e repressione dopo il colpo di Stato del 3 luglio 2013 di Al Sisi contro il rais Morsi. E le primavere arabe del 2011, che sembravano poter aprire uno spiraglio di libertà, e forse di democrazia, sono ormai soltanto un lontano ricordo.

Le ragioni del verdetto, di chiara ispirazione politica, vanno rinvenute nella difficile relazione della tv Al Jazeera con i governi arabi e nella sua vicinanza al movimento dei “Fratelli Musulmani”. Movimento bollato a dicembre 2013 come “terrorista” (insieme a molti gruppi di attivisti). Non a caso, pochi giorni dopo erano seguiti gli arresti. Ma in base ad un cieco arbitrio i tribunali egiziani emettono condanne a morte senza alcun freno (solo negli ultimi giorni sono state confermate quelle per Mohamed Badie, capo della Confraternita islamica e 182 suoi “seguaci”). E la censura che ha travolto i giornalisti ha portato l’Egitto in testa alla classifica dei Paesi nemici della libertà di stampa.

Se è vero che il premier britannico Cameron, ovvero il suo ministro degli Esteri, ha convocato d’urgenza l’ambasciatore egiziano a Londra e la ministra degli Esteri australiana Bishop ha fatto lo stesso, molti – e probabilmente in primis Al Sisi – non ritengono che al di là delle condanne verbali, cui pure si è associata la Casa Bianca, i governi occidentali vadano oltre. Per non disturbare altri interessi. E questa lettura da “realpolitik” desta ancora più allarme del fatto in sé.

Non è accettabile sacrificare sull’altare un diritto fondamentale, quale la libertà di stampa, per interessi commerciali o accordi politici di qualsivoglia natura.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44