La Turchia e l’orrore della... censura

Quel che è accaduto in Turchia nelle ultime ore lascia senza parole. Ma certamente chiarisce il percorso intrapreso dal Paese, sempre più chiuso nella morsa di un preoccupante autoritarismo guidato da Recep Tayyip Erdogan, uomo di lungo corso nel panorama politico turco. Attuale Presidente della Repubblica dall’agosto 2014, Erdogan è stato Primo Ministro e prima ancora Sindaco di Instanbul. Egli è espressione di un partito – l’AKP, partito per la Giustizia e lo Sviluppo – di stampo islamico-conservatore. Domenica 14 dicembre è la data che segna l’inizio di una nuova, feroce, ondata repressiva contro stampa, le televisioni e i giornali. In 12 città turche, i raid della polizia hanno portato all’arresto di 32 giornalisti, accusati di terrorismo e adesione a organizzazione criminale. Nel caso queste pesanti accuse dovessero esser confermate, l’ergastolo sarebbe quasi una garanzia. Ad Instanbul le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nella sede del quotidiano “Zaman”, uno dei principali giornali di opposizione, portando all’arresto del direttore Ekrem Dumanli. Un altro giornalista della testata ha raccontato ai media che, nonostante fosse domenica, la redazione era piena. Avendo avuto una soffiata circa l’arrivo della polizia, erano tutti lì a farsi coraggio e provare a rivendicare l’importanza della libertà di espressione.

Questa immagine è toccante nella sua profonda drammaticità e sembra riproporre, a quasi un secolo di distanza, gli orrori del nazismo. La scena della polizia che irrompe nella redazione rievoca quella delle SS che andavano a prelevare ebrei innocenti nei ghetti delle città. Ma Erdogan non è certo nuovo a questo tipo di reazioni, o meglio di “repressioni”. Basti ricordare la violenza utilizzata a fermare la rivolta di Gezi Park, o ai tentativi dei mesi scorsi di censurare web e social network perchè particolarmente critici verso il suo operato.

Non sorprende che nel 2013 la classifica redatta da Reporter sans Frontières, che analizza 180 Paesi del mondo sulla base della libertà di espressione presente in ciascun contesto, abbia collocato la Turchia al 154° posto (l’Italia si posiziona quarantanovesima, ultima l’Eritrea).

Secondo Erdogan a quanto pare chi non è d’accordo merita di essere eliminato. E, visto che non è “lecito” eliminarlo fisicamente, almeno occorre metterlo adeguatamente a tacere.

Sembra che la repressione cui ha dato inizio il Presidente sia una sorta di vendetta, a distanza di un anno esatto –era il 17 dicembre 2013 – dallo scoppio della così detta “Tangentopoli turca” per la quale numerosi erano stati gli “amici” dell’allora Premier a finire in manette.

Solo due giorni prima il Presidente, in occasione della visita di Matteo Renzi in Turchia, aveva dichiarato “farò di tutto perché la Turchia entri nell’UE”. Vorremmo ricordare ad Erdogan, qualora non ne fosse a conoscenza, che l’Unione Europea ritiene libertà di espressione e di stampa valori cardine di qualsiasi assetto democratico. Mettere il bavaglio a giornalisti e scrittori è una barbarie inaccettabile alle soglie del 2015. E la Turchia non merita questo trattamento.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47