L’azzardo etnico   di Vladimir Putin

La notizia è di quelle enormi. La Nato accusa la Russia di aver violato la sovranità nazionale ucraina. L’Alleanza ha mostrato foto satellitari, video girati in loco e testimonianze per provare quel che afferma. Di fatto, si tratterebbe della seconda invasione russa dell’Ucraina, un Paese sovrano, in meno di un anno. La prima è l’annessione della Crimea (una regione dell’Ucraina) in marzo, effettuata con l’uso di truppe russe prive di mostrine. È lo stesso presidente Vladimir Putin che lo ha ammesso in conferenza stampa. E dunque è lo stesso capo di Stato della Federazione Russa ad aver ammesso candidamente di aver invaso e annesso la regione di un altro Stato. Ora il copione si sta ripetendo, pari pari, nelle regioni dell’Ucraina orientale. Non si tratta di una novità. Su queste colonne abbiamo già ampiamente parlato di intervento russo nella guerriglia dell’Ucraina orientale. In questi giorni abbiamo semplicemente una conferma in più, che sta realmente accadendo. E assistiamo a un’escalation, a una presenza sempre più massiccia ed esplicita di uomini e mezzi russi sul suolo di uno Stato vicino.

È difficile che il Cremlino voglia annettere tutta l’Ucraina: nell’Ovest del Paese e a Kiev le truppe della Federazione verrebbero accolte come un esercito occupante e dovrebbero lottare contro tutti. I russi mirano, semplicemente, a staccarne pezzi, per creare una loro area di influenza, per trattare con Kiev dalla posizione del vincitore sul terreno, per indurre ogni futuro governo che venga eletto dagli ucraini a sottostare alle condizioni di Mosca. Non a caso, la nuova offensiva dei russi avviene proprio all’indomani dell’incontro fra i due presidenti, Poroshenko e Putin. Dopo la rivolta contro il governo filo-russo di Yanukovic, vissuta come un’offesa dal Cremlino, Putin vuol semplicemente tornare al comando nel Paese vicino. Ma c’è un significato molto più ampio in tutto ciò. L’invasione dell’Ucraina, pur non dichiarata, è una violazione dei confini in territorio europeo, volta a ridisegnare un ordine ormai comunemente accettato dal 1991. Se dovesse essere completato il disegno russo, avremmo, non solo una nuova “Cipro” (una nazione informalmente divisa in due, con una parte annessa dalla potenza vicina dopo un intervento militare), ma la rottura degli equilibri faticosamente garantiti dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

Quel che caratterizzò la fine dell’Urss fu l’accettazione dei confini delle Repubbliche che la costituivano. È evidente che ognuna di quelle repubbliche sia un mosaico di etnie. Vuoi per motivi storici che risalgono all’epoca delle invasioni mongola e tartara e proseguono all’epoca dello zarismo, vuoi per motivi politici più recenti (le politiche demografiche di Stalin e Chrushev, fra gli anni ’30 e ’60 del secolo scorso), nessuna repubblica ex sovietica è etnicamente omogenea e quasi tutte contengono più o meno grandi minoranze di russi. Se fosse passato il principio della revisione dei confini su linee etniche, nell’ex Urss avremmo assistito ad almeno una ventina di guerre, una per ogni area di frizione. Invece, con le tragiche eccezioni della Cecenia, della Georgia e del Nagorno Karabakh, non abbiamo visto una guerra generale, proprio perché le secessioni sono avvenute su linee amministrative e non etniche. Putin sta invece facendo passare il concetto che le frontiere debbano essere ridisegnate su linee etniche, ovviamente a favore dei russi. Perché accetta e promuove il principio che ogni russo, in qualunque repubblica ex sovietica risieda, abbia diritto di essere tutelato, contro il suo governo locale. Non ha neppure atteso che i russi venissero messi in pericolo. Non c’era alcuna guerra in corso, né alcuna pulizia etnica, quando ha annesso la Crimea, di punto in bianco, senza preavviso e senza consultarsi con l’Onu. Attualmente, nell’Ucraina orientale non è in corso un genocidio, ma una guerra, in cui russi e russofoni sono armati, sono sia vittime che carnefici. Un intervento militare a loro favore, per di più non dichiarato e non motivato dalla legge internazionale, è una deliberata ingerenza in uno Stato straniero, in una guerra civile straniera, per annettere un territorio abitato da una minoranza di propri connazionali. Un po’ come se l’Italia, nel corso della guerra civile in Croazia, avesse approfittato per allearsi con gli italiani ancora rimasti in Istria e Dalmazia, per riannettere quelle due regioni “irredente”. Qualcuno può anche averlo pensato nel segreto della sua stanzetta, ma nessun politico italiano lo ha mai proposto pubblicamente: gli avrebbero dato del pazzo. Ecco: Putin, non solo pensa una cosa analoga, ma agisce per realizzarla.

Questo potrebbe dare un’idea del pericolo che stiamo correndo. Non si pensa nemmeno ai Cosacchi in Piazza San Pietro: Putin non mira a conquistare l’Europa occidentale. Quel che rischiamo, con la rottura degli equilibri post-sovietici, è una guerra generale nell’Est. Un conflitto in cui potrebbe essere coinvolta anche la Nato, considerando che minoranze russe risiedono anche in Paesi membri come l’Estonia e la Lettonia. Quello di Putin, insomma, è un gioco d’azzardo. Che lo vinca o lo perda non si sa ancora, ma abbiamo tutte le ragioni per restare col fiato sospeso.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45