Non esiste affatto   un “Modello Svezia”

La vittoria dei socialdemocratici in Svezia smonta due leggende dure a morire. La prima leggenda è quella del “modello svedese” socialista. I socialdemocratici erano lontani dal potere da 8 anni. E quel loro “modello”, citato ancora dalle sinistre di tutto il mondo, non esiste più da due decenni. In particolar modo, il governo liberale di Fredrik Reinfeldt, nei suoi otto anni di amministrazione, ha reso la Svezia uno dei paesi più liberi del mondo: secondo l’Index of Economic Freedom, quello della Svezia è il 10mo sistema economico più liberista d’Europa e il 20mo del mondo intero. Benché la tassazione sia ancora abbastanza alta (44,5% di pressione fiscale complessiva, 8 punti meno che in Italia) e la spesa pubblica sia pari alla metà del Pil (come in Italia, ma contrariamente al nostro Paese il debito pubblico svedese è appena il 40% del Pil), la moneta è stabile, la corruzione è ai minimi termini, la possibilità di investire e aprire aziende è molto facile e garantita da leggi che rispettano la proprietà privata: la Svezia è la terza nel mondo secondo il Property Right Index. Pochi di coloro che ancora vantano il “modello svedese” sanno che in quel grande Paese nordico le pensioni sono private, le ferrovie sono sia pubbliche che private (e comunque in competizione fra loro), i due terzi delle strade sono private, scuole pubbliche e private sono realmente in competizione fra loro. Le grandi aziende di Stato, i “gioielli della corona” come qualcuno li chiamerebbe da noi, sono state tutte vendute a privati. Quando si dice “Svezia” non bisogna più pensare allo stato sociale che ti segue dalla culla alla tomba, ma semmai a un esempio ben funzionante del tanto temuto “liberismo selvaggio”.

Il secondo mito è quello della grande vittoria rosso-verde nel Nord Europa. In queste elezioni hanno perso i liberali, ma non hanno vinto i socialdemocratici. La maggioranza conquistata dalla coalizione costituita da Socialdemocratici, Verdi e Sinistra, si è aggiudicata il 43,7% dei voti, pari a 159 seggi su 349. La coalizione di centro-destra, guidata dal Partito Moderato (liberale) di Reinfeldt, ha preso il 39,3% dei voti. In mezzo ai due contendenti è impossibile non notare l’enorme 13% conquistato dai Democratici Svedesi, partito di estrema destra che deve il suo successo alla lotta all’immigrazione. La sinistra maggioritaria non ha i numeri per formare un governo da sola. I Democratici Svedesi, piuttosto, si sentono i veri arbitri della situazione. Considerando la crescita imponente di questo partito di destra, che è passato dal 2,9% del 2006 al 5,7% del 2010 fino al 13% attuale, il macro-fenomeno che ha caratterizzato il voto degli svedesi è, evidentemente, quello dell’immigrazione e dell’islamizzazione. E si può anche capire il perché. Nel 2013 la capitale Stoccolma ha subito una violenta rivolta dei quartieri periferici a maggioranza musulmana. A Malmo ci sono intere zone dove non riescono ad entrare neppure ambulanza e vigili del fuoco, se non con la scorta della polizia. L’immigrazione svedese, fondata non sul lavoro, ma sulla concessione di asilo politico, costa tanto agli svedesi, sia in termini di perdita della sicurezza (la Svezia è improvvisamente schizzata in testa alla classifica europea della violenza sulle donne), sia monetari: i più alti tassi di disoccupazione si registrano fra gli immigrati, perché ci sono i sussidi statali a mantenerli. E la sanità viene garantita a tutti, anche agli immigrati non regolari.

Gli svedesi, dunque, hanno bocciato solo in parte il liberismo di Reinfeldt. In realtà, numeri alla mano, possiamo dire che considerino un fallimento le sue politiche sull’immigrazione, il multiculturalismo e l’ordine pubblico. È questa fuga a destra dell’elettorato che ha consentito ai socialdemocratici di vincere di nuovo. Ma scordiamoci il “modello svedese”: quello, ormai, esiste solo nei libri di storia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50