Reyhaneh: nella natura   dello Stato Islamico

Il caso della giovane Reyhaneh Jabbar, cittadina iraniana condannata a morte per aver ucciso chi ha tentato di stuprarla, ha suscitato nel mondo interesse ed indignazione tanto da aver creato sulla rete gruppi e discussioni nel tentativo di salvarla dal boia. Non è servito a niente, la mattina del 25 ottobre la giovane è stata impiccata in una cella del carcere di Teheran. Gli appelli sono stati molti e illustri sia in Iran che nel mondo, eppure si percepisce nel dibattito politico e nei mezzi di informazione che per Reyhaneh non sia fatto abbastanza, che la voce poteva farsi sentire maggiormente. Forse, ma non avrebbe cambiato la sorte della ragazza.

Questa impiccagione simboleggia la forza, la determinazione, e l’indipendenza alle quali la repubblica islamica non ha la minima intenzione di rinunciare. Nel più profondo spirito khomeinista l’Iran persegue la propria via ponendosi in antitesi con il mondo liberale e individualistico personificato, secondo i loro canoni, dal grande satana americano, e dal piccolo satana sionista. Quando, durante il suo esilio, l’Imam Khomeini elaborava, e redigeva il suo scritto più importante, lo Stato Islamico, metteva in chiaro i concetti che successivamente sarebbero stati adottati in toto dalla nascente repubblica. Lo stato Islamico prende la propria linfa dal Corano e dalla Sunna (i detti del profeta) ed essi contengono tutto ciò di cui il fedele ha necessità per la sua vita. Per questo la repubblica islamica è stata fondata, per questo continuerà a vivere e agire secondo i suoi canoni. Pensare che i guardiani della rivoluzione, in nome di diritti che non vogliono coscientemente riconoscere, siano disposti a ritrattare la loro identità e le loro conquiste in materia religiosa non può essere altro che infantilismo politico, e credere che una petizione possa mettere in discussione la sovranità giuridica di uno stato come l’Iran si addice a visionari, non a coscienti osservatori. Salvare Reyhaneh Jabbar, evitare che la legge islamica compisse il proprio destino sarebbe stato un atto di debolezza e frustrazione, l’accettare i valori occidentali in un caso legale all’interno dei confini della terra islamica d’Iran avrebbe contraddetto tutto ciò per cui si è combattuto negli ultimi 40 anni, avrebbe calpestato tutti i valori per cui l’Iran combatte da quando lo Scià fu costretto all’esilio.

Un atto in così manifesta contraddizione con i diritti umani, e con i più semplici e basilari diritti della donna, non nasce da un errato o criminale approccio occidentale nei confronti della repubblica iraniana, ma incarna il puro spirito islamico che offre, sia alla Umma (la comunità dei credenti) sia al mondo intero, un’alternativa all’immorale e decadente occiedente. In altre parole, mandare a morte quella giovane corrisponde pienamente al sistema di valori morali che la repubblica islamica offre ai suoi cittadini, e vorrebbe esportare in nome dell’Islam.

Pensare che l’impiccagione di una ragazza, colpevole solo di voler difendere il proprio corpo e la propria dignità di donna, sia il prodotto dell’aggressività o della cattiva comprensione del mondo islamico è una visione fuorviante, che non ha riscontri nella realtà politica del tempo in cui viviamo. “Questa è la nostra legge, questa è la nostra religione, e il ribrezzo che genera nelle coscienze occidentali non scalfisce la determinazione della repubblica islamica”, pensano fieramente gli esponenti del regime. Per le classi dirigenti e intellettuali del vecchio e nuovo continente sarebbe opportuno iniziare a credergli, a dare veramente credito alle loro affermazioni e azioni, e a pensare che le nefandezze e crimini di una storia millenaria e di un sistema politico-legale profondamente strutturato come quello islamico in Iran non possano semplicemente essere frutto di una reazione agli sgraditi modelli, e alle deprecabili politiche dei vecchi e nuovi colonizzatori atlantici.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49