Fallimento nipponico,  un monito per tutti

Il premier liberaldemocratico giapponese Shinzo Abe, ha deciso di rimettersi in gioco. Con due anni di anticipo rispetto alla data della fine della legislatura, ha annunciato ieri che procederà con lo scioglimento delle camere del parlamento il prossimo 21 novembre. Il Giappone tornerà alle urne a dicembre.

Una mossa così improvvisa ha colto di sorpresa non pochi osservatori nipponici e creato abbastanza confusione, smarrimento e scoramento nell’opinione pubblica, che teme di veder prolungarsi l’instabilità politica, divenuta ormai cronica. Ma la causa di questa nuova crisi di governo è chiara: la recessione. Nessuno, fra i più quotati analisti economici, aveva previsto una recessione di un anno dell’economia giapponese. Shinzo Abe aveva messo in atto quelle misure che, secondo la vulgata keynesiana, avrebbero dovuto rimettere in moto l’economia della potenza asiatica. Aveva fatto un uso smodato della leva monetaria, piazzando nel ruolo di governatore della Banca Centrale un suo fedele amico, Haruhiko Kuroda, col compito di stampare moneta. Nel giro di un anno, la base monetaria nipponica è aumentata di 60 miliardi di yen, pari a circa 400 milioni di euro. È aumentata l’inflazione, ma il meccanismo della svalutazione competitiva non ha funzionato: le esportazioni dal Giappone hanno contribuito positivamente al Pil solo per lo 0,1%.

Shinzo Abe ha dato fondo alla spesa pubblica, ignorando volutamente un debito pubblico che ha raggiunto la proporzione da record mondiale del 200% del Pil. Ma anche questo ha contribuito poco alla crescita. I consumi, contrariamente a quel che prevedono gli schemi economici keynesiani, non sono stati rilanciati, né dalla spesa pubblica, né dall’inflazione. Nel trimestre precedente erano calati del 5% e ora hanno recuperato appena lo 0,4%. In compenso, visto che da qualche parte i soldi per alimentare la spesa pubblica devono pure entrare, Abe ha deciso di aumentare le imposte indirette, quelle sui consumi, portando l’aliquota dal 5% all’8% (e l’anno prossimo era previsto un ulteriore aumento al 10%). In questo modo ha ottenuto quel che voleva evitare: grazie alla maggior pressione fiscale, i giapponesi hanno iniziato a comprare di meno, rallentando i consumi.

Risultato complessivo: l’economia giapponese è in piena recessione, con una contrazione del Pil del 1,6% annuo. Shinzo Abe ha decisamente sbagliato politica, ma lo ha fatto in buona fede. Ed è tuttora convinto di essere rieletto per “portare a termine” la sua riforma economica. È la cultura economica dominante che gli ha suggerito di fare quel che ha fatto. Era ed è, tuttora, convinto che quella sia la via della ripresa. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Obama la pensa allo stesso modo. In effetti una nuova crisi è sempre dietro l’angolo e se i democratici hanno perso le elezioni di Medio Termine lo devono soprattutto al loro fallimento in economia. In Europa, almeno finora, la Banca Centrale resiste alla vulgata, nonostante Mario Draghi (come Claude Trichet prima di lui) abbia iniziato a metter mano alla leva monetaria. E sempre più governi, fra cui quello di Renzi in Italia e soprattutto l’amministrazione Hollande in Francia, vogliono sforare i parametri per potersi permettere debiti maggiori e più spesa pubblica. Purtroppo la vulgata corrente identifica il problema nell’austerità che i tedeschi vorrebbero e indicano la soluzione nella via giapponese all’economia. Beh, il fallimento della politica di Abe, lo si voglia riconoscere o meno, dovrebbe essere un monito per tutti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52