La vittoria di Tsipras e le euroripercussioni

Il 25 gennaio 2015 costituisce una data storica per la Grecia. I due partiti che avevano dominato, da soli, la scena politica ellenica, per ben quarant’anni (cioè dal 1974, anno che segna la fine del regime dei colonnelli e in cui si effettua il referendum che abroga la monarchia), esattamente il partito conservatore di Nuova Democrazia e il partito socialista del Pasok, in un solo colpo sono stati sconfitti da una nuova formazione politica di sinistra radicale; il partito Syriza di Alexis Tsipras. Se Nuova Democrazia, con i 76 seggi conquistati, è stata ridimensionata, il Pasok è stato quasi cancellato, avendo ottenuto il 4,88 per cento dei voti e appena 13 seggi (mentre cinque anni prima aveva raggiunto il 44 per cento dei voti). Il balzo di Syriza è stato compiuto in poco più di 5 anni: 4,9 per cento nel 2009; 16,8 per cento nel maggio 2012; 26,89 per cento nel giugno 2012 e 36,34 per cento nel gennaio 2015.

C’è subito da sottolineare che l’alternarsi di Nuova Democrazia e del Pasok, al governo della Grecia, si era espresso soprattutto con l’alternarsi di due gruppi familiari al potere: i Karamanlis per Nuova Democrazia e i Papandreu per il Pasok. Nessuna situazione simile si è mai verificata in nessun altro paese europeo. Kostantinos Karamanlis, infatti, è stato per ben cinque volte primo ministro e per due mandati, Presidente della Repubblica. Mentre il nipote, Kostas, ha ricoperto l’incarico di primo ministro, due volte. Dal canto suo, Andreas Papandreu è stato primo ministro tre volte; ma il padre, Georgios, era già stato capo del governo greco in esilio, quando la Grecia era stata occupata da tedeschi ed italiani; ed il figlio, George, è stato primo ministro negli ultimi difficili anni (2009-2011).

L’avvento di Syriza, dunque, pone fine a quarant’anni di bipartitismo. Pur avendo ottenuto un eccezionale successo, Tsipras, però, non ha raggiunto la maggioranza assoluta in Parlamento (149 seggi su 300). E’ stato obbligato, quindi, a realizzare delle alleanze, a costituire una coalizione. Non, tuttavia, con i due grandi partiti d’un tempo. Ma con un’altra formazione politica che ha raggiunto la soglia del 3 per cento, necessaria per poter essere presente in Parlamento. Precisamente, con la destra nazionalista che ha ottenuto 13 seggi. E’ previsto anche un appoggio esterno da parte dei centristi di To Potami (17 seggi), ma con essi non vi è nessuna alleanza politica, cosa che sarebbe stata vista come un segno di maggiore moderazione da parte dell’Unione Europea.

La crisi greca si è manifestata subito dopo lo svolgimento delle Olimpiadi, svoltesi nel 2004. Il budget previsto per realizzarle (15 miliardi di euro), si è rivelato troppo piccolo, anche se era cresciuto il turismo, che apportava sviluppo e valuta. Nel 2008 la crisi finanziaria raggiunge il culmine. Si scopre che i conti del paese erano stati truccati per poter rientrare nei parametri di Maastricht (nel 2002 la Grecia aveva adottato la moneta unica europea). Le spese che il paese affronta sono enormi, rispetto alle sue possibilità. Il debito pubblico raggiunge i 262 miliardi. E’ necessario un primo prestito di 110 miliardi e, poi, un secondo di 130 miliardi. Per ottenerli si ingiungono grandi tagli alla spesa pubblica e pesanti misure di austerità. Anche perché, da un lato, l’evasione fiscale dei lavoratori autonomi era altissima e, dall’altra, i salari e le pensioni nel settore pubblico erano molti elevati.

George Papandreu, nel 2011, di fronte a un grandissimo e crescente malcontento della popolazione nei confronti delle austerità imposte dalla Troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea), decide di indire un referendum: accettare le durissime condizioni imposte oppure uscire dall’euro. I paesi europei sono preoccupatissimi per la prospettiva di una bancarotta greca ed esercitano su di lui una forte pressione. Ciò induce Papandreu a disdirlo, ma, contemporaneamente, a dimettersi. Gli eventi si susseguono vertiginosamente: crisi di governo; nomina da parte di Nuova Democrazia e Pasok dell’economista Venizelos a primo ministro; elezioni a maggio 2012 che, non dando risultati che permettano la formazione di un governo, sono ripetute a giugno 2012; segue un governo di unità nazionale con Samaras. Gli ultimi avvenimenti costituiscono l’attualità.

Non vi sono, nell’Europa dell’eurozona, solo gli elettori di Syriza che contestano in modo radicale l’attuale filosofia della moneta unica e il rigore che ne consegue. Vi sono altri movimenti di questo tipo, nell’eurozona: ad esempio, in Spagna, in Francia, in Italia. Non tutti dicono di voler uscire dall’eurozona, ma tutti contestano il rigore e l’austerità imposte da Bruxelles ed attribuite, soprattutto, alla cancelliera Angela Merkel. La vittoria di Tsipras in Grecia rischia di far allargare il diffondersi di questo malcontento.

Iniziamo dalla Spagna, La sinistra radicale spagnola di “Podemos” si guarda nello specchio di Atene, sognando di ripeterne i risultati negli appuntamenti elettorali del 2015: municipali a maggio, regionali in settembre, legislative probabilmente a novembre. Anch’essa giudica la Troika responsabile dei mali in Europa e rivendica una solidarietà dei popoli, soprattutto del sud-Europa. D’altronde gli stretti legami tra Syriza e gli spagnoli di Podemos sono ben conosciuti.

La situazione politica greca è guardata con interesse anche in Irlanda e in Portogallo, Paesi toccati dalle politiche economiche di austerità. Mentre il Portogallo non ha una formazione politica simile a quella di Syriza in quanto i gruppi e i movimenti a sinistra del partito socialista portoghese non sono pervenuti a costituire un’intesa, in Irlanda esiste già un’Alleanza anti-austerità guidata da Paul Murphy che, fra l’altro, era presente ad Atene per vivere di presenza la vittoria greca.

La situazione francese è più complessa. Notiamo anzitutto che François Hollande ha subito invitato Tsipras a venire a Parigi, prima del prossimo Consiglio Europeo, previsto per il 12 febbraio prossimo, ma… due anni dopo averlo snobbato. Fa notare, infatti, con ironia, Le Canard enchainé del 28 gennaio scorso, che questo immediato invito di Hollande costituisce il seguito della lettera inviata da Tsipras, in occasione dell’elezione del presidente francese, in cui si augurava “un incontro a Parigi, il più rapidamente possibile”. A parte l’invito di Hollande, le formazioni a sinistra del partito socialista francese, sperano in un effetto di contagio, cioè che possa essere possibile in Francia un governo di sinistra radicale e anti-austerità. Così Mélenchon, esponente dell’estrema sinistra, spera in un effetto “domino”, in “una primavera europea”. Mentre Duflot, esponente dei Verdi, spera che l’effetto greco possa consistere nel fare nascere un vero dibattito sull’Europa. A parte i desideri di queste persone di sinistra, nella realtà, in Francia, oggi, non vi sono neanche le precondizioni per un grande partito di sinistra radicale.

Ma in Francia c’è anche la destra del Fronte Nazionale di Marine Le Pen che si richiama a Syriza. Non è, tuttavia, il programma politico che accomuna la Le Pen e Tsipras, quanto, piuttosto, la loro posizione euroscettica. Così come il gruppo “Debut la France”, composto da gollisti euroscettici, ha salutato la vittoria di Syriza come “un risveglio di un popolo che non ne poteva più”. Inoltre, se Marine Le Pen, ancor prima delle elezioni, affermava il sostegno a Syriza, secondo la più parte dei commentatori francesi questo era un modo per distanziarsi e così non essere associata al partito neonazista Alba Dorata, impostosi poi come terzo partito (6,28 per cento dei votanti e 17 seggi conquistati).

In Italia le posizioni euroscettiche di Grillini e Lega sono ben conosciute. L’austerità, la disoccupazione, la povertà crescente, tutto è imputato all’euro e alla Merkel. Anche il partito di Fratelli d’Italia si associa al fronte antieuro, pur con motivazioni differenti. Ma, a parte queste posizioni sull’Europa, gli altri punti dei loro programmi politici differiscono da quelli di Syriza. La sinistra italiana è, invece, in sintonia con il programma del partito greco e i rapporti sono ottimi. Si guarda con interesse e simpatia all’esperimento greco. Il leader di Sel, Vendola, che ha cercato di compattare nell’anti-Leopolda di Milano, la sinistra alternativa a Renzi, vede nella vittoria di Syriza la possibilità di aprire un nuovo fronte politico nello scenario europeo, distanziandosi dagli euroscettici, perché si propone non di cancellare, ma di ripensare l’Unione Europea.

La sinistra italiana, però, è ancora molto frammentata. Nelle elezioni del 2008, il tentativo di Alleanza Arcobaleno non raggiunse neanche il quorum, per cui restò fuori dal Parlamento. La stessa cosa accadde nelle elezioni del 2013 con il fallimento della lista di Rivoluzione civile. A sinistra del Pd vi sono parecchi spezzoni, ma, ad oggi, ancora incapaci di unirsi e con poca forza propulsiva per potersi espandere. Se Tsipras, rifiutando l’austerità imposta dalla Troika, non spiega, contemporaneamente, con quali mezzi finanziari intende risollevare il tenore di vita dei suoi connazionali, non potrà acquisire credibilità, né essere in grado, in definitiva, di migliorare in concreto le condizioni dei cittadini greci. L’agognata spinta in avanti non solo risulterà indebolita, ma il mancato raggiungimento degli obiettivi proposti costituirà la prova che questa non è una strada percorribile.

Rimane tuttavia il fatto che la vittoria di Tsipras, come la recente approvazione del “Quantitative easing”, pone un grossissimo problema all’Ue. Può realmente esistere una moneta unica con i bilanci nazionali separati?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:00