Russia e Cina insieme nel Mediterraneo

Saranno fieri di loro i partner occidentali. Sulla crisi ucraina hanno spinto la tensione con la Federazione russa fino al limite della rottura e adesso se ne pagano le conseguenze. Non solo economiche. Torna in gioco il riassetto degli equilibri nell’area del Mediterraneo. È notizia di questi giorni che Mosca stia impegnando, nelle acque del Mare Nostrum, la propria flotta in un’esercitazione navale congiunta con la Marina militare cinese.

L’operazione, denominata “Interazione in mare 2015”, ufficialmente si propone come scopo il mantenimento della pace e l’intervento contro il terrorismo e contro la pirateria. Il medesimo di “Ioniex”, il programma di cooperazione tra la forza aeronavale italiana e quella russa, abbandonato nel 2014 del governo Renzi. La miopia di Barack Obama e di tutto il carrozzone europeo sta consentendo alla Russia di sganciarsi dal dialogo intraeuropeo e alla Cina di avere un piede operativo all’interno del bacino mediterraneo.

Se prima il Cremlino si accontentava di provare la sua capacità bellica operando in accordo con un Paese della Nato: l’Italia, dopo che il nostro governo ha disdetto la partnership su ordine di Washington, Putin ha girato le spalle all’Europa. Si dovrebbe proporre un secondo Nobel a Obama per il capolavoro combinato. Dopo decenni vissuti pericolosamente nel clima della guerra fredda, l’Europa aveva imboccato la strada dell’integrazione con la potenza orientale. Si doveva soltanto proseguire nella costruzione della stabilità e della reciproca sicurezza nello spirito cementato con gli accordi di Pratica di Mare del 2002.

Invece la congiuntura astrale che ha portato una pattuglia di mezzecartucce alla guida dei paesi occidentali rischia di rimettere indietro di cinquant’anni le lancette dell’orologio, con l’aggravante che, in una situazione di elevata instabilità dell’area mediterranea, ai player della prima linea si sia aggiunta la potenza cinese. Pechino intende far pesare il suo ruolo di potenza globale impegnata a difendere interessi valutati strategici nel continente africano e nella regione mediorientale. Che la situazione possa precipitare da un momento all’altro è più di una previsione. Le manovre navali russo-cinesi lambiscono due differenti teatri di crisi. Il primo è quello greco. La condizione economica del Paese è vicina alla catastrofe e l’Unione europea sta facendo di tutto per portare Atene sull’orlo del precipizio.

Tuttavia, il governo di Alexis Tsipras, non avendo alcuna intenzione di farsi travolgere dall’arroganza dei contabili di Bruxelles e Francoforte, ha intensificato i rapporti con la Russia e la Cina per sollecitarne gli investimenti sul proprio mercato interno. La presenza della flotta russo-cinese sarebbe un bel messaggio di sostegno psicologico rivolto ai greci. Il secondo fronte di crisi è quello libico. L’Egitto, Paese riavvicinatosi a Mosca negli ultimi tempi, ha comunicato le proprie intenzioni di fare guerra agli jihadisti dell’Is mediante l’invasione della Cirenaica. Un’azione militare con truppe di terra rischia di provocare la definitiva frantumazione della Libia e l’inevitabile riflusso delle forze islamiste verso la regione della Tripolitania, che è la più vicina alle nostre coste.

I russi hanno già una loro base navale nel porto di Alessandria. Incrociare davanti alle coste egiziane e libiche mentre l’armata del generale al-Sisi si preoccupa di fare ciò che gli occidentali non hanno avuto il coraggio di fare: disinfestare l’area dalle locuste dello Stato Islamico, sarebbe un segnale di forza lanciato ai Paesi del Medio Oriente. Tutto questo poteva essere evitato se non fosse che siamo nelle mani di una banda d’incapaci, a cominciare dal burattino di Palazzo Chigi. Complimenti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:00