Nagorno-Karabakh, condanna all’Armenia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (nella foto la sede della Cedu a Strasburgo) si è espressa sul caso “Chiragov e altri contro Armenia”. Il caso sottoposto alla Cedu trae origine da un ricorso contro la Repubblica dell’Armenia risalente al 6 aprile del 2005, presentato da sei cittadini azeri costretti con la forza ad abbandonare il distretto di Lachin durante l’aggressione armena. La Cedu si è pronunciata a favore dei ricorrenti, riconoscendo le continue violazioni dei diritti sanciti dalla “Convenzione per la Protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali” da parte dell’Armenia.

Lo stato armeno ha sostenuto che la sua giurisdizione non si estende su uno stato sovrano e indipendente quale quello del Nagorno-Karabakh. Le autorità armene sostengono, da tempo, di non aver partecipato al conflitto militare in questione, dichiarando ripetutamente di non aver alcuna presenza militare nella regione azera. Nonostante ciò, l’Armenia sostiene l’indipendenza del Nagorno-Karabakh, anche se tale territorio è riconosciuto dalla comunità internazionale come regione a tutti gli effetti dell’Azerbaigian. Il 12 maggio del 1994, Armenia e Azerbaigian affermarono, grazie all’intermediazione dell’Osce, una soluzione pacifica del conflitto. A tal fine, furono esortate le parti in guerra ad avviare colloqui di pace intensi e concreti mediante l’attuazione di misure miranti a rafforzare la fiducia, in particolare in campo umanitario. Tali colloqui ancora oggi non sembrano funzionare.

La Corte Europea ha stabilito che i sei cittadini dell’Azerbaigian sono stati costretti a lasciare Lachin a seguito di un attacco militare nel distretto, nel maggio del 1992, affermando che il Nagorno-Karabakh e il distretto in questione sono ancora sotto occupazione e che il diritto internazionale, come previsto dall’Aia e dalla Convenzione di Ginevra relativa alle persone civili in tempo di guerra, è costantemente violato dalla Repubblica di Armenia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato che “la Repubblica di Armenia, attraverso la sua presenza militare e la fornitura di materiale bellico, è stata coinvolta nel conflitto del Nagorno-Karabakh”. Le prove presentate alla Corte dimostrano, in modo convincente, che le forze armate dell’Armenia, fin dai primi giorni del conflitto del Nagorno-Karabakh, hanno avuto una significativa e decisiva influenza. La Cedu ha riaffermato il diritto degli sfollati di ritornare alle loro case o luoghi di residenza abituali.

Ma, secondo la Corte, allo stato attuale, non è realistico per gli azeri ritornare alle proprie case poiché si registra ancora la presenza di truppe armene armate e continue violazioni del “cessate il fuoco”. La Repubblica di Armenia ha la piena responsabilità per le violazioni del diritto internazionale che si sono verificate e continuano a verificarsi in quel contesto geografico. Un elemento chiave per la totale ripresa di una situazione riappacificata è l’obbligo internazionale della fine delle ostilità, ponendo fine, da parte armena, all’occupazione dei territori dell’Azerbaigian all’interno dei confini che gli sono riconosciuti a livello internazionale.

Esiste una soluzione al conflitto del Nagorno-Karabakh, ma esso rimane irrisolto”, ha affermato il vicepremier, presidente del Comitato di Stato per i Rapporti con i rifugiati e i profughi interni, Ali Hasanov, in una recente riunione con i co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce, gli ambasciatori Igor Popov della Russia, James Warlick degli Stati Uniti, e Pierre Andrieu della Francia. Sul caso analizzato dalla Cedu è intervenuto anche Vaqif Sadıqov, ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, che ha sottolineato “l’importanza storica della sentenza, di rilievo nel riconoscimento da parte della comunità internazionale della violazione dei diritti del milione di cittadini azerbaigiani che a causa dell’invasione militare da parte dell’Armenia si trovano da oltre vent’anni nella situazione di rifugiati e profughi interni”.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:06