L’accordo di Vienna e l’incognita Iran

A Vienna c’è stata la stipula dell’accordo sulla limitazione del programma nucleare iraniano. Le maggiori capitali europee e Washington esultano per un risultato giudicato storico. Purtroppo non sentiamo di unirci ai festeggiamenti. Non conosciamo il documento finale di Vienna quindi un giudizio completo è assolutamente prematuro. Ma se per dirsi ottimisti manca la conoscenza di tutti i punti dell’intesa, l’essere pessimisti ha, invece, sufficienti elementi a sostegno. Si tratta di un cahier di diffidenze facilmente squadernabile.

1) Il presidente Barack Obama è stato il primo a intestarsi il successo del negoziato. Ma non possiamo ignorare che nel corso del suo mandato presidenziale, che volge al termine, abbia fallito clamorosamente in tutte le scelte di politica estera compiute. Domanda: perché soltanto in quest’occasione, la più difficile, avrebbe dovuto aver visto giusto?

2) Con l’accordo si legittima il diritto dell’Iran, finora ostinatamente negato, ad avere una propria politica nucleare. L’aspettativa delle potenze occidentali è che adesso il regime di Teheran, per sdebitarsi del favore concesso, si faccia carico di combattere sul campo le armate dell’Is, lo Stato Islamico. In caso di successo l’Iran si troverà, in pochi mesi, a estendere la sua influenza su un immenso territorio che dalle sponde dell’Eufrate giungerà fino a quelle del Mediterraneo, passando dall’Iraq, dalla Siria, dal Libano fino alla Striscia di Gaza. Ciò farà della repubblica degli ayatollah una potenza globale. Siamo certi che ciò sia un bene per la sicurezza dell’Occidente?

3) La contropartita prevista per la momentanea rinuncia iraniana a dotarsi dell’arma atomica prevede la fine delle sanzioni economiche. Teheran sarà presto nelle condizioni di disporre di una massa di capitali propri, finora congelati nelle banche estere, che si stima in circa 100miliardi di dollari. Questo fiume di denaro verrà messo in circolazione per farne cosa? Per aumentare la capacità offensiva iraniana o per migliorare le condizioni di vita della popolazione?

4) L’inevitabile espansione del principale paese di religione sciita condurrà a una polarizzazione delle posizioni degli Stati dell’area, a maggioranza sunnita. Lo sbilanciamento decretato a favore di Teheran rischia di provocare reazioni ostili in coloro che si sentono minacciati, Arabia Saudita in testa. L’insicurezza prodotta dall’accordo di Vienna avvicinerà, anziché, allontanare il rischio di un sanguinoso conflitto regionale.

5) Il negoziato è stato condotto ignorando totalmente le preoccupazioni di Israele. Non è un caso se il premier Benjamin Netanyahu abbia commentato l’accordo definendolo uno storico errore. Il trattato non prevede nulla a proposito della rinuncia dell’Iran al progetto di annientamento dello Stato ebraico. Neanche si è tentato di imporre alla dirigenza iraniana di fermare l’istigazione all’odio contro Israele e gli stessi Stati Uniti. Nulla si è pattuito in materia di sospensione degli aiuti finanziari che Teheran elargisce ai movimenti terroristi di Hezbollah nel Sud del Libano e di Hamas nella Striscia di Gaza oltre a quelli destinati agli 80 “centri culturali” in Sud America all’interno dei quali, si sospetta, si sia sviluppata una diffusa rete terroristica.

La sensazione è che il tanto osannato accordo sia fondato su troppi: “vedremo” iraniani opposti a un’eccessiva generosità occidentale che rasenta lo sbracamento. Abbiamo il timore che a Vienna si sia compiuto un passo fatale verso la guerra. Mai come in questa circostanza il nostro più ardente desiderio è quello di essere smentiti. Magari con prove concludenti e non con apodittiche asserzioni del tipo: “ È stato un capolavoro diplomatico della Mogherini”, perché se fosse questa la motivazione non riusciremmo più a chiudere occhio per una sola notte di sonni tranquilli.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:12