Crisi in MO: Mosca   e la pugnalata turca

L’abbattimento del caccia russo per mano dell’aviazione turca disvela una realtà che l’Occidente si ostina a ignorare. Non esiste al momento la benché minima possibilità di fare fronte comune per sconfiggere lo Stato islamico, perché quella che si sta combattendo in Siria non è solo guerra umanitaria ma è principalmente scontro di interessi di bottega.

In questo scenario la Turchia di Recep Erdoğan ha deciso di compiere un gesto pericoloso colpendo la Russia alla schiena. Era evidente da tempo l’insofferenza del leader turco, mai davvero convinto di partecipare alla “Santa Alleanza” contro lo Stato islamico, per il sostegno che le armi di Mosca stavano assicurando al nemico siriano numero-uno: Bashar al-Assad. L’ipotesi poi che l’Occidente potesse fare fronte comune con Vladimir Putin a danno degli interessi turchi nell’area ha spinto Erdoğan a giocare (malissimo) la carta dell’azzardo. Erdoğan ha puntato sul coinvolgimento degli alleati della Nato in una possibile escalation militare contro la Federazione Russa, ma ha toppato sulla tempistica. In questo momento la Francia di Hollande ha tutto l’interesse a coordinarsi con il Cremlino per chiudere la partita del terrorismo islamico. Barack Obama ha le mani legate.

Già da tempo è un’“anatra zoppa” per i molti errori compiuti nella gestione dello scacchiere mediterraneo-mediorientale. Inoltre, è in scadenza di mandato per cui mai potrebbe chiamare la nazione a un intervento militare contro forze russe, se non costretto da eventi catastrofici, dovendo passare la mano, tra giusto dodici mesi, a un nuovo presidente. La Turchia ora dovrà fare i conti con la reazione di Putin, che non sarà lieve. La dirigenza del Cremlino non cadrà nella trappola della rappresaglia diretta che potrebbe innescare pericolose solidarietà alleate, ma calerà il maglio sui rapporti economici con Ankara.

Sono a rischio le forniture di gas di cui la Turchia beneficia e i partenariati commerciali implementati tra i due Paesi a seguito delle demenziali sanzioni varate dall’Unione europea. Erdoğan si è dimostrato un politico miope, accecato dall’ambizione di ricreare il clima da “grandeur” orientale come ai tempi dell’Impero Ottomano: al-Assad fatto fuori, siriani alauiti sottomessi, curdi ingabbiati e criminalizzati, sciiti filo-iraniani ricacciati indietro e Damasco consegnata a un governo fantoccio posto alle dirette dipendenze di Ankara. Non è così che andrà dopo la scriteriata pugnalata alla schiena assestata a Putin.

Intanto, ad aggravare la provocazione anti-russa vi è stato il vile assassinio di uno dei piloti del caccia abbattuto per mano dei ribelli siriano-turcomanni. Se non vi sarà rappresaglia diretta contro le forze regolari turche, loro invece la pagheranno cara. E nulla potrà fare l’improvvido Erdoğan per soccorrerli. Mosca sta rafforzando le installazioni della difesa contraerea intorno alla base militare di Latakia e sta inviando l’incrociatore lanciamissili classe “Moskva” che manovrerà nello specchio di mare siriano prossimo al confine turco. Comunque, non ci sarà una Terza guerra mondiale.

La possibilità che il leader turco possa invocare con successo l’attivazione dell’articolo 5 del Trattato Atlantico, che prevede l’assistenza degli Stati membri della Nato nel caso di attacco a uno di essi, è pari a zero. Piuttosto, l’Italia potrebbe trarre vantaggio da questa crisi a patto, però, che rompa il fronte delle sanzioni anti-russe, imposte dal G7 e sorvegliate dalla Ue. È giunto il momento per la nostra economia che si torni alla normalità negli scambi commerciali con Mosca. Finora il nostro Paese si è prestato a fare la parte dell’utile idiota per favorire i buoni affari degli altri. Adesso che lo scivolone turco riapre la partita sul mercato russo, il signor Renzi faccia l’italiano. Si preoccupi di noi e delle nostre aziende. Che ce n’è bisogno.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:09