Usa 2016: i key points per la presidenza

Ormai siamo al giro di boa. L’inizio dei caucus e delle primarie porteranno, con il passare dei mesi, alle candidature politiche per l’election day di novembre, che decreterà il nuovo Presidente degli Stati Uniti D’America. E sono Primarie un po’ atipiche, dato che nessuno dei due partiti principali (Democratici e Repubblicani) sembra essere riuscito a trovare un ‘cavallo di razza’ da poter supportare lungo il cammino che porterà a Pennsylvania Avenue. Per analizzare bene la situazione e per capire cosa ci si potrà aspettare da queste elezioni occorre andare un po’ indietro nel tempo.

Molti analisti ed osservatori di politica estera avevano individuato, probabilmente con molte ragioni, l’intransigenza e l’estremismo del Tea Party come uno dei fattori importanti della sconfitta di Mitt Romney nel 2012. Barack Obama, facendo tesoro delle debolezze del Grand Old Party e grazie alla macchina elettorale formidabile di Obama For America, riuscì a riportare al voto le minoranze (neri, ispanici etc) e a riconfermarsi Presidente.

Nonostante i tanti scandali che lo hanno investito, le sconfitte nelle mid term (2010 – 2014) e la poco convincente ricetta nella foreign policy, Obama è riuscito a cementificare il suo potere alla Casa Bianca grazie alla sua spiccata sensibilità comunicativa e ad alcune battaglie liberal (matrimonio gay– Obamacare).

Ma è tutt’oro quel che luccica? Secondo la media Real Clear Politics (http://www.realclearpolitics.com/epolls/other/president_obama_job_approval- 1044.html) il job approval di Barack Obama oscilla tra 44-45% e non tutti gli americani sono contenti dell’operato del Presidente.

Dal 1993 il Partito Democratico e quello Repubblicano si avvicendano con regolarità nella sala ovale e nonostante la candidatura di Hillary Clinton sia granitica, la sostituzione di un personaggio carismatico come Barack Obama non sarà cosa semplice. Ai Repubblicani, infatti, basterebbe un candidato credibile per poter vincere o, per lo meno, provarci.

E invece il cambio drastico della demografia del voto e lo smarrimento del partito dell’elefantino stanno producendo candidati somiglianti a mine vaganti (Trump) o poco convincenti (Cruz-Rubio) per la totalità dell’elettorato conservatore. Quindi, considerando che i giochi non sono ancora fatti e che tutti e due i partiti hanno criticità: quali saranno i fattori determinanti per diventare il futuro Presidente?

La credibilità dei candidati sarà fondamentale, soprattutto per le basi dei partiti, cioè quegli elettori che effettivamente supportano i candidati e fanno donazioni. Al momento i sondaggi vedono la Clinton in vantaggio sulla futura nomination nazionale (http://www.realclearpolitics.com/epolls/2016/president/us/2016_democratic_preside ntial_nomination-3824.html) anche se nei primi due appuntamenti, Iowa (http://www.realclearpolitics.com/epolls/2016/president/ia/iowa_democratic_preside ntial_caucus-3195.html) e New Hampshire (http://www.realclearpolitics.com/epolls/2016/president/nh/new_hampshire_democra tic_presidential_primary-3351.html), iniziano ad affiorare le prime criticità. Il vero problema per la Clinton però rimane l’avviso di garanzia sulla questione del server privato che avrebbe usato quando era Segretario di Stato e attraverso il quale avrebbe passato notizie ‘sensibili’ e quindi facilmente intercettabili. L’Fbi sta ancora indagando (ormai va avanti da mesi) e se ci dovesse essere una incriminazione per lei sarebbe veramente la fine. Difficile pensare che il suo contendente, Bernie Sanders, possa sostituirla. L’approccio troppo socialista di Sanders non va a genio al partito e la totalità degli elettori a sinistra non sono contenti del suo estremismo, lasciando il campo a soluzioni ancora poco chiare su nuove possibili candidature (Biden?).

Il partito Repubblicano, invece, vede Donald Trump in testa (http://www.realclearpolitics.com/epolls/2016/president/us/2016_republican_preside ntial_nomination-3823.html) ai sondaggi nazionali. Ma il problema è che se da una parte la base dell’elettorato sembra essere convinta di una sua possibile nomination, dall’altra tanti conservatori rimangono scettici, soprattutto i ‘piani alti’. L’assenza di Trump all’ultimo debate di Fox News (sembra, in realtà, che Murdoch abbia deciso di non supportare l’eccentrico miliardario) la dice lunga sulla situazione. Il fatto è che il Grand Old Party avrebbe bisogno di un rinnovamento profondo dopo l’uscita G.W.Bush e i due mandati di Obama e purtroppo, ancora oggi, fa fatica a ritrovare una propria identità. La profonda divisione dell’elettorato sui candidati, nessuno dei quali riesce davvero a convincere e a prendere il largo, ne è la riprova. Tutto questo non ha fatto che favorire un personaggio come Trump che, sfruttando luoghi comuni ed estremismo, rimane in testa alle preferenze. Ancora non si capisce bene dove il miliardario voglia arrivare (correre come Indipendente?), ma c’è da ammettere la sua bravura nello sfruttare avversari che non convincono (Cruz – Rubio) e l’antipatia verso il duo Obama/Clinton, loro stessi sempre ai ferri corti.

Il Job approval e l’economia saranno altri due fattori determinanti. L’Approvazione dell’operato del Presidente Obama è rimasta pressoché invariata intorno al 45% (http://www.realclearpolitics.com/epolls/other/president_obama_job_approval- 1044.html) per più di un anno e anche per il prossimo non si dovrebbero, a ragion veduta, vedere grossi cambiamenti all’orizzonte. Il grande lavoro di Obama nel domestic (i dati economici sembrano dargli ragione) non è bastato e i numerosi scandali che lo hanno investito, uniti agli scarsi risultati in politica estera, rendono il Presidente ancora poco convincente per la maggioranza degli americani. Dal dopoguerra la storia degli Stati Uniti suggerisce che ogni qual volta un Presidente ha l’approvazione debole (con qualche eccezione) il suo partito ne risente nelle successive elezioni perdendo la Casa Bianca. Così è successo con Truman, Jhonson, Carter, Ford e G.W. Bush. Viceversa l’approvazione per Reagan diede slancio a G.H.W.Bush. E’ molto probabile, quindi, che l’operato di Obama potrà far pendere in alto o in basso l’asticella del prossimo candidato Dem alle elezioni nazionali. Inoltre sul lato economico è dagli inizi del novecento che, statisticamente, l’America ha conosciuto una recessione più o meno grave ogni 5/6 anni (l’ultima si è di fatto conclusa nel 2009-2010). Non ci sono prove che ciò debba succedere di nuovo, ma se un’altra flessione economica dovesse colpire gli Stati Uniti con Obama in carica, sicuramente il candidato democratico ne risentirà.

Anche Il cambiamento demografico del voto e l’affluenza alle urne sono due punti estremamente importanti per le prossime elezioni americane.

Il popolo americano non bianco sta aumentando. Nel 1976 i voti degli elettori non bianchi si aggiravano intorno all’11%; nel 2012 la percentuale era arrivata a circa il 28%. Tale tendenza è andata sempre ad aumentare nel corso degli anni, senza mai fermarsi. Sappiamo bene come il voto delle ‘minoranze’ sia di fatto determinante per il partito Democratico. Mitt Romney alle ultime elezioni aveva fatto man bassa dei voti bianchi (59%) ma ha poi perso le elezioni nazionali. Sappiamo, inoltre, come una buona spinta per la vittoria di Barack Obama sia arrivata proprio dal voto delle minoranze dei neri e degli ispanici, cosa che non era successa a candidati come Al Gore o Kerry. Proprio gli ispanici, però, non hanno mai avuto una connotazione politica chiara in America e, se possiamo dire che l’elettorato di colore sia quasi tutto Democratico, non possiamo esserne certi per quel che riguarda la comunità dei Latinos. Non si può escludere che una possibile candidatura di Rubio o Cruz riesca a spostare questo tipo di elettorato. Per quel che riguarda invece il turn out (l’affluenza), la perdita di Obama sarà determinante e difficilmente rivedremo i risultati del 2008-2012. Il Presidente in carica nel 2008 riuscì a portare a casa il 95% dei voti della popolazione di colore e del 93% nel 2012. Sarà molto difficile per la Clinton bissare questi risultati non solo per il colore della sua pelle, ma soprattutto perché, nonostante i suoi sforzi, difficilmente l’ex Segretario di Stato può dirsi separata dall’establishment politico del Paese, cosa che invece Obama era riuscito a comunicare molto bene grazie al suo background. Obama nel 2012 è stato votato da 62 milioni di persone contro i 60 milioni di Romney ed ecco quindi che per i democratici punti percentuali in meno di afro americani ed ispanici potrebbero essere un grave danno soprattutto negli swing states, cioè quegli Stati americani che nella storia sono spesso stati in bilico fra un partito e l’altro.

Last but not least gli altri due punti fondamentali: gli scandali ed il ticket di presidenza. Negli anni il popolo americano si è un po’ abituato ai gossip relativi alle vite dei politici ed il disamoramento verso l’establishment è ormai un leitmotiv che ha investito non solo l’America, ma tutto il mondo occidentale. Abbiamo visto come il macigno dell’indagine sulla Clinton e le gaffe di Trump li abbiano indeboliti con il passare del tempo. Inoltre c’è sempre da considerare il fatto che durante le primarie gli scandali fanno sempre più rumore, soprattutto tra gli elettori indecisi. Per questi motivi, i vari candidati dovranno comunque stare attenti ed agire molto bene con le proprie lobby per evitare perdite. Molto farà anche la scelta del ticket di presidenza, cioè la scelta del vice presidente che il candidato vincitore delle primarie dovrà comunicare. Per i repubblicani fare dei nomi in questo preciso momento è davvero difficile, visto che ancora i sondaggi non definiscono un vero candidato. Nonostante ciò, le vittorie alle mid term (nel 2010 e nel 2014) dovrebbero dare al partito una ampia scelta. Viceversa, proprio per lo stesso motivo, per i democratici potrebbe essere una scelta più ardua. La Clinton, che sembra ben indirizzata sul viale della nomination, avrebbe sicuramente delle difficoltà in più rispetto al candidato repubblicano. Si vocifera su nomi tipo il senatore Kaine della Virginia o il senatore Brown dell’Ohio, ma è troppo presto per dirlo perché molto dipenderà dalla nomination del candidato repubblicano.

Molti di questi fattori potrebbero determinare il nuovo Presidente degli Stati Uniti e dopo i due mandati di Obama la strada per i repubblicani potrebbe essere più agevole. In realtà i problemi nel partito sono evidenti: l’elettorato è diviso e l’estremismo di Trump, primo in questo momento nei sondaggi, non convince larga parte dell’elettorato, inoltre i competitors non stanno trovando lo slancio giusto e convincono poco. In più il clima di incertezza, anche nel partito Democratico con la Clinton che non convince completamente, sta dando spazio ad altre candidature (http://www.slate.com/articles/news_and_politics/politics/2016/01/michael_bloomber g_could_make_donald_trump_president.html) con conseguenze ancora poco chiare. Ci vorrà ancora molto tempo per poter chiarire le posizioni ed i reali contendenti della sala ovale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01