La minaccia nucleare nordcoreana è reale

Gli Stati Uniti sono concentrati solo sulle loro elezioni, ancora alla fase iniziale delle primarie. Ma il resto del mondo, nemico o amico che sia, va avanti. E puntualmente a portare ancor più avanti i suoi piani ostili è la Corea del Nord, il “regno eremita” stalinista che, dal 1953, a fasi alterne, riscalda o raffredda la tensione con la Corea del Sud, il Giappone e gli stessi Usa. Il giovane dittatore Kim Jong-un, di cui non conosciamo con certezza neppure l’età (32 o 33 anni appena compiuti), sa bene che il presidente Barack Obama, giunto alla fine del suo secondo mandato e con un Congresso a maggioranza repubblicana, può fare azioni ben poco eclatanti. Sa anche che l’opinione pubblica americana, alle prese con le primarie, è men che mai interessata a quel che avviene in Asia. Nemmeno le riviste conservatrici più attente ai “rogue states”, come la National Review, mettono le notizie da Pyongyang in primo piano. E così Kim ha fatto esattamente tutto ciò che la comunità internazionale gli aveva proibito di fare: condurre un test nucleare sotterraneo (a gennaio), un test missilistico (il 7 febbraio) e riprendere la produzione industriale di plutonio, facendo capire di voler costruire altre bombe atomiche.

Le cause dell’incredibile successione di azioni illegali nordcoreane è segreta come tutto il resto. Secondo la stampa ufficiale, il lancio di un missile il 7 febbraio è stato un brillante risultato della ricerca scientifica e tecnologica “a fini pacifici”. Il test nucleare del mese scorso è invece una “difesa della sovranità” nordcoreana dalle minacce esterne. E la produzione del plutonio non ha ancora trovato la sua giustificazione ufficiale, ma verrà probabilmente venduta come una normale attività industriale a fini energetici. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, è abbastanza evidente l’intento reale di queste mosse: costruire missili balistici intercontinentali capaci di spedire testate nucleari ovunque nel territorio statunitense. L’intento di Pyongyang è dunque quello di mettere gli Usa sotto tiro, per poterli ricattare. Prima di tutto per garantirsi la sopravvivenza politica (che non è affatto scontata) e secondariamente per ottenere aiuti alimentari e tecnologici dalla comunità internazionale. “I will nuke for food” titolava una vecchia vignetta americana in cui Kim il padre (Jong-il) chiedeva l’elemosina con un missile nucleare, alle sue spalle, pronto all’uso. La logica è quella del “cattivo perdente”, insomma. Ed è un rischio concreto. Quanto concreto?

Il missile sperimentato questo fine settimana non è un’arma da guerra. Si tratta di un vettore sperimentale che richiede diversi giorni di preparazione su una rampa di lancio allo scoperto, molto vulnerabile in caso di conflitto. Sono dunque ingiustificati gli allarmismi di chi vede la possibilità di una nuova Pearl Harbor (nucleare, stavolta) sugli Stati Uniti. Se pericolo c’è, è per il futuro prossimo. Con questo lancio, infatti, i nordcoreani hanno sperimentato un motore funzionante che potrà essere usato sui loro nuovi missili balistici intercontinentali (Icbm), ancora in fase di gestazione: i KN-08. Ma il passaggio dal vettore sperimentale agli Icbm non sarà immediato: richiederà altri anni di test. I nordcoreani, con questo stesso lancio, hanno anche testato con successo la messa in orbita di un satellite di circa 500 chilogrammi, sufficiente a trasportare una testata nucleare. Il test missilistico di questo fine settimana ha dato risultati molto migliori rispetto a quello analogo del 2012. E con minori conseguenze politiche: allora tutti gli occhi del mondo erano puntati sulla Corea del Nord. Oggi no.

Se anche i nordcoreani dovessero avere un Icbm funzionante e capace di colpire il territorio degli Usa, avrebbero una testata nucleare adatta ad essere trasportata? L’intelligence statunitense in Corea afferma che i nordcoreani abbiano già la capacità di miniaturizzare una testata nucleare, prerequisito necessario a montarla su un Icbm. Ma pare non abbiano ancora prodotto un veicolo di rientro, indispensabile per far reggere alla testata l’attrito dell’atmosfera a velocità ipersonica nell’ultimo tratto del volo balistico. Tuttavia ai nordcoreani potrebbe anche non servire: infatti, un’atomica fatta detonare in orbita bassa può provocare un blackout nel territorio sottostante (effetto Emp) di dimensioni e durata tuttora poco conosciute, ma di sicuro molto preoccupanti. Gli Stati Uniti, specialmente gli ambienti più conservatori fra i repubblicani, non lasciano passare alcun giorno senza ricordarlo ai governi statali e a quello federale, ma al momento gli Usa non hanno messo in atto alcun piano per proteggere le linee elettriche civili dall’effetto Emp. Per questo semplice motivo, anche l’intera infrastruttura della prima potenza economica del mondo potrebbe essere messa seriamente a rischio da una sola arma nucleare nordcoreana.

Nei prossimi giorni si assisterà, piuttosto, al solito balletto dei negoziati a sei: Usa, Corea del Sud e Giappone premeranno per sanzioni dure, Russia e Cina disapproveranno (già lo hanno dichiarato) l’azione della Corea del Nord, ma porranno il veto su qualunque sanzione degna di nota. D’altra parte, se la Corea del Nord è tuttora in piedi, lo è solo grazie agli aiuti della Cina. Che non ha alcun interesse ad assistere alla riunificazione della penisola coreana, se non alle condizioni di Pechino. L’atteggiamento bellicoso nordcoreano, piuttosto, peggiorerà la corsa agli armamenti già in atto nel Pacifico occidentale. Washington e Seul ricominciano il dialogo per il potenziamento della difesa anti-missile in Corea del Sud, con l’introduzione possibile di una batteria di Thaad, missili capaci di intercettare le testate anche fuori dall’atmosfera. La Cina ha già avvertito che non li digerisce, perché sente che viene sfidata la sua superiorità missilistica nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Giallo. E quindi preparerà contromisure.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:09