Guantanamo chiude?   Obama fa l’illusionista

Barack Obama ci riprova: vuole chiudere il campo di detenzione di Guantanamo, dove sono ancora internati 91 presunti terroristi. E il “presunti” non è solo linguaggio politically correct: è d’obbligo, da un punto di vista legale, perché non sono stati sottoposti a regolare processo. La detenzione a tempo indeterminato di persone senza un processo, all’indomani degli attacchi dell’11 settembre, aveva attirato critiche molto pesanti all’amministrazione Bush. Obama ha ereditato lo stesso problema e, dai tempi della sua campagna elettorale del 2008, aveva promesso la chiusura di quella grande prigione speciale extra-territoriale, costruita nella base militare dei marine nell’estremo oriente di Cuba. La chiusura di Guantanamo è stata promessa altre volte da Obama, anche nel 2012, ma mai portata a termine. Perché non è un problema da poco, da un punto di vista della logistica e della sicurezza. E non migliorerebbe il quadro legale. Anzi, probabilmente lo peggiorerebbe.

Nella prigione di Guantanamo sono stati internati sino a 800 sospetti terroristi. Oggi ne rimangono solo 91. Di questi, 35 potrebbero essere trasferiti al Paese d’origine o in Paesi terzi. E l’esperienza insegna che, una volta in patria, possono subire trattamenti ancora peggiori, e/o tornare liberi e riprendere la lotta armata. Altri 10 sono sotto processo nelle commissioni speciali militari. Ben 46, la maggioranza, sono considerati gli individui più pericolosi e destinati alla detenzione a tempo indeterminato. E 22, per cui inizialmente si pensava a un processo, sono ancora in un limbo legale, in attesa che il Congresso approvi il piano di chiusura del centro di detenzione. Già dalla composizione dei prigionieri, si può capire come gli Stati che ospitano altri centri di detenzione, in cui potrebbe avvenire il trasferimento, non siano troppo contenti della cosa. E, da un punto di vista del rispetto dei diritti civili, resta il problema dell’assenza di processo. Né è facile rimediarvi, perché i tribunali ordinari si sono dimostrati inadeguati a processare sospetti terroristi. In una guerra al terrorismo, è infatti molto difficile raccogliere prove e testimonianze attendibili, né si possono usare confessioni estorte in passato con la tortura o comunque ottenute in circostanze straordinariamente dure per il presunto colpevole. Senza contare che per i membri di una giuria è molto facile farsi intimidire da persone che potrebbero essere alla testa di network terroristici internazionali: se già è difficile esprimere pubblicamente un giudizio su un semplice mafioso…

La proposta di chiudere Guantanamo sta puntualmente scontentando tutti, sia i difensori dei diritti umani che i rappresentanti dell’opposizione, soprattutto a livello locale. Amnesty International sottolinea che il trasferimento dei prigionieri in territorio nazionale statunitense creerebbe “un precedente pericoloso (…) sarebbe un colpo devastante ai principi della giustizia criminale”, perché un conto è una detenzione, in territorio statunitense, dopo un regolare processo, ma “Guantanamo e le sue commissioni militari non hanno, e non possono avere, amministrato la giustizia”. È d’accordo anche la deputata democratica Barbara Lee, che ha twittato “Il governo della legge e il giusto processo sono valori americani fondamentali. Proseguire con le detenzioni a tempo indeterminato a Guantanamo indebolisce la nostra Costituzione”.

I repubblicani, che sono maggioranza al Congresso, si oppongono per motivi di sicurezza, soprattutto. E anche perché il piano presentato dall’amministrazione Obama per il trasferimento dei prigionieri non è dettagliato: non contiene un elenco pubblico completo delle strutture in cui i detenuti potrebbero essere trasferiti. Sono stati indicati centri di massima sicurezza in Kansas, South Carolina e Colorado e puntualmente i senatori che li rappresentano, rispettivamente Pat Roberts, Tim Scott e Cory Gardner, hanno subito dichiarato: “I nostri Stati e le nostre comunità si oppongono al trasferimento dei più letali terroristi del mondo in territorio statunitense. I terroristi di Guantanamo sono lì dove devono restare: a Guantanamo”. Secondo Paul Ryan, speaker della Camera, la proposta di Obama è incompleta e quindi non rispetta i termini di legge, che prescrivono anche l’indicazione esatta dei costi e dei luoghi. Inoltre, sostiene: “Il Congresso si è espresso senza dubbi: è contro la legge, e lo sarà sempre, trasferire terroristi detenuti sul suolo americano. Non metteremo a rischio la nostra sicurezza nazionale per rispettare una promessa da campagna elettorale”.

Tuttavia, nonostante le critiche, da destra e da sinistra, Barack Obama sembra veramente determinato ad andare avanti. Perché? Perché come ha più volte dichiarato, nel corso di questi sette anni, Guantanamo è “il principale poster di reclutamento degli jihadisti”. Ritiene che sia un simbolo del male, una macchia nella fedina penale storica degli Stati Uniti e un esempio che i nemici degli Usa possano additare per reclutare volontari alla loro causa. Ma ne siamo sicuri? Non è così semplice. I volontari dell’Isis corrono ad arruolarsi in Iraq e in Siria perché impressionati da Guantanamo (e non dai prigionieri decapitati, bruciati vivi o annegati in pubblico dagli jihadisti)? O perché credono nella loro causa? Combattono contro gli Usa per vendicare la sorte di 91 prigionieri di Guantanamo (e non le migliaia di prigionieri barbaramente uccisi nello Stato Islamico)? O perché, nel loro disegno ideologico, gli Usa sono l’epicentro del male nel mondo e lo scontro con l’Impero rientra nella loro visione della fine dei tempi? Se anche fossero attenti ai diritti umani, poi, noterebbero la presa in giro di questa mossa: Guantanamo verrebbe chiusa, ma almeno una cinquantina di persone rimarrebbe in carcere senza processo. Una presa in giro. O basta allontanare un problema dalle fotocamere, o cambiargli il nome, per farlo sparire? A giudicare da come l’amministrazione Obama abbia fatto scomparire tracce e foto del corpo di Bin Laden, sembra proprio che sia questa la sua unica priorità: l’immagine. Nient’altro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:10