Angela Merkel kaputt

Angela Merkel, la lady di ferro della politica continentale, ha clamorosamente perso le elezioni a casa sua, nel Land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore. I cantori dell’europeismo in salsa teutonica si affretteranno a minimizzare il dato, sottolineando che esso è riferito a un Land scarsamente popolato e dei più poveri tra quelli che compongono gli Stati federati della Germania. Sarà, ma come si dice: se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora probabilmente è un’anatra.

Quella della scorsa domenica per la signora Merkel è una sconfitta, comunque la si chiami o la si giustifichi. Benché localmente i socialdemocratici, con il 30 per cento, abbiano mantenuto la posizione di primo partito pur perdendo il 5 per cento dei propri consensi originari, a superare la Cdu è stata la forza emergente della nuova destra, Alternative für Deutschland, guidata da Frauke Petry, che si è imposta come secondo partito regionale conseguendo il 20,8 per cento dei voti. Nella sostanza non cambierà granché nella conduzione della regione che si affaccia sul Baltico, giacché la Spd e la Cdu hanno i numeri per rieditare a livello locale la Grosse Koalition. Tuttavia, il dato politico resta significativo a prescindere dalla dimensione quantitativa dell’elettorato coinvolto. Ciò che rileva è il trend decisamente favorevole alla AfD che è in costante crescita. Il prossimo anno, quando i tedeschi saranno chiamati a votare per il Bundestag, il Parlamento federale, la vittoria fino a ieri scontata del partito della signora Merkel non sarà più tale. Anche nella florida Germania, che ha piegato le regole e le scelte dell’Unione europea ai propri interessi nazionali, il tema centrale che orienta gli elettori ruota intorno alla questione degli immigrati.

In Italia si fa fatica a capire quanto l’argomento incida nel profondo del sentire dei popoli europei, per questo si preferisce affidarsi agli insulti e alle facili etichettature: populisti, xenofobi, razzisti, ultradestra neofascista. Insomma, si fa appello a tutto l’universo mondo delle banalità pur di sfuggire ad una seria analisi del reale. La verità è che si respira in giro per il Vecchio Continente un’aria sempre più forte di riappropriazione identitaria, particolarmente stimolata dal comportamento della gran parte degli islamici ospitati all’interno dei confini comunitari. Pensate che i tedeschi andati alle urne la scorsa domenica non avessero negli occhi e nel cuore le immagini dell’allegra notte di Colonia, con centinaia di donne molestate e stuprate dai nuovi e vecchi venuti, uniti nella fede nel Profeta? Di là dagli insopportabili eccessi dei radicalizzati e degli ortodossi anche i cosiddetti islamici moderati, sebbene con differenti accentuazioni, rimarcano un tratto comune assai preoccupante: l’indisponibilità a integrarsi e ad accettare i princìpi-cardine che sostanziano la civiltà occidentale. Questa assoluta rigidità nel voler conservare intatti i propri stili di vita e i modelli culturali indotti dalla propria religione di appartenenza ha spaventato gli europei spingendoli a percepire la politica dell’accoglienza non più alla stregua di un’opportunità storica ma come un fattore di vulnerabilità rispetto a una volontà egemonica della quale il jihadismo rappresenta solo la punta di lancia intrisa di veleno.

Qualche attardato commentatore italiano si ostina a guardare con disgusto agli europei che intendono difendersi dall’invasione degli allogeni “alzando il ponte levatoio”. E anche se fosse che male ci sarebbe a ritornare sui bastioni delle antiche fortezze? Di castelli e ponti levatoi è fatta la gloriosa storia di Europa. La signora Merkel e il suo partito avranno pochi mesi per raddrizzare la barca prima che coli a picco. Per farlo dovranno riposizionarsi sul tema dell’immigrazione. A quel punto a fare la politica del “dentro tutti” resterà soltanto l’Italia. E sarà l’inferno.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:19